E’ ai nastri partenza a Modena Rescat, uno studio nazionale di terapia cellulare per trattare, con cellule staminali che inibiscono l’infiammazione, i pazienti con una polmonite da Sars-CoV-2 e che vede coinvolti altri sei centri tra Lombardia, Veneto e Toscana e conta su un cofinanziamento della Regione Emilia Romagna di 300mila euro. Rescat è il primo studio in Italia che utilizza un tipo di cellule staminali in sperimentazione clinica per pazienti affetti da Coronavirus e il primo al mondo che confronta fonti diverse di provenienza delle cellule nell’ambito di un’unica sperimentazione controllata. Tali cellule, chiamate stromali mesenchimali (mesenchymal stem cell, MSC) sono staminali in grado di produrre fattori antinfiammatori che sembrano contrastare il meccanismo alla base del danno d’organo indotto dal virus. Lo studio, sotto il coordinamento dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Modena con l’Università di Modena e Reggio Emilia, vedrà coinvolti anche gli Ospedali Meyer e Careggi di Firenze, il Policlinico Irccs Ca’ Granda di Milano con l’Ospedale Covid di Milano Fiera, l’Ospedale San Gerardo di Monza con la Fondazione Centro di ricerca Tettamanti e con l’Università Milano-Bicocca, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e l’ULSS 8 Berica. A supportare i centri per l’analisi dei biomarcatori saranno l’Istituto Mario Negri di Milano e la Fondazione Centro di ricerca Tettamanti.
“L’innovazione di questo studio – aggiunge Massimo Dominici, direttore della Struttura Complessa di Oncologia dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena – consiste nel mettere in rete nello stesso protocollo cinque fabbriche di cellule che producono MSC autorizzate per l’impiego umano da fonti diverse. L’obiettivo dello studio, in quanto di fase I/IIa, consiste nel verificare la fattibilità e la sicurezza del loro utilizzo nel trattamento della polmonite da SARS-CoV-2”.
Ad oggi non esiste ancora un trattamento farmacologico efficace per la cura dell’infezione e della polmonite da Covid-19: “nella maggior parte dei casi – spiega Enrico Clini, direttore della Struttura Complessa di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena – vengono utilizzati farmaci antivirali, anticoagulanti o antinfiammatori approvati dagli enti regolatori a seguito delle evidenze scientifiche, in aggiunta alla terapia di supporto respiratorio. Ma la letteratura ha dimostrato che le MSC possono essere in grado di agire nei confronti della sindrome da distress respiratorio, una delle conseguenze più letali dell’infezione da Sars-CoV-2. Queste cellule, infatti, trattate e conservate in laboratorio, una volta iniettate, hanno la capacità di distribuirsi in alcuni tessuti e, in particolare, in quello polmonare dove si fermano svolgendo un’azione anti coagulante e anti infiammatoria. Azioni determinanti per fermare l’infiammazione acuta associata alla polmonite da Covid 19”.
“Queste cellule – aggiunge il dottor Dominici – sono come dei pompieri di fronte a un rogo. Il problema del Covid non è il virus in sé, bensì l’incendio che genera. Un incendio che brucia i tessuti. Per spegnerlo serve l’acqua che ci aspettiamo venga prodotta da queste cellule che, una volta infuse, vanno a ridurre l’infiammazione come dimostrato da una serie di studi clinici”.
Gli studi cinesi condotti sinora su vari pazienti affetti da Covid-19 in condizioni cliniche in rapido peggioramento hanno dimostrato l’assenza di reazioni allergiche, di infezioni secondarie o di eventi avversi legati all’infusione di MSC. Nel giro di pochi giorni è stato osservato un miglioramento dell’ossigenazione, un calo dei livelli di molecole infiammatorie e un miglioramento del quadro clinico e radiologico.
“Un’altra ipotesi da verificare – aggiunge Rachele Ciccocioppo, del Dipartimento di Medicina dell’AOU Integrata di Verona – riguarderà poi il possibile effetto a lungo termine del danno causato dalla polmonite interstiziale, in particolare sulla fibrosi, e la conseguente insufficienza respiratoria”.
Rescat prevede due infusioni endovenose di MSC allogeni a distanza di 5 giorni l’una dall’altra in 60 pazienti (40 trattati e 20 come gruppo di controllo) affetti da polmonite severa da infezione da SARS-CoV-2 e ricoverati e seguiti presso le terapie intensive e semintensive coinvolte.