“Il teatro non è necessario, serve solo a noi che ci lavoriamo”

La crisi del teatro dove dev’essere ricercata? Nella pandemia o, forse, al suo interno? L’attore e regista carpigiano Davide Bulgarelli è duro: “il Covid - commenta - non ha fatto altro che portare allo scoperto le lacune che il teatro si trascinava da molto tempo e proprio chi di teatro vive, sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza del proprio mestiere”.

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Davide Bulgarelli

Tra i settori più colpiti dall’emergenza sanitaria Covid-19 vi è certamente quello del teatro e degli spettacoli itineranti. Nel maggio scorso, con tutte le riaperture anche questi luoghi avevano ripreso le proprie attività, permettendo agli operatori del settore di prendere una boccata d’ossigeno e di iniziare a programmare la stagione invernale. Una stagione che però non è mai decollata, rischiando di mettere ulteriormente in ginocchio un settore già fortemente provato.

Ma la crisi del teatro dove dev’essere ricercata? Nella pandemia o, forse, al suo interno? Lo stimato attore e regista carpigiano Davide Bulgarelli – che lo scorso anno è stato insignito del Premio Enriquez per la Drammaturgia grazie alla pubblicazione di Monologhi, Commedie e Drammi, tre volumi editi da Mucchi del mio Teatro – è duro col suo amato teatro di prosa: “il Covid – commenta – non ha fatto altro che portare allo scoperto le lacune che si trascinava da molto tempo”. Qualche esempio?

“Il calo vertiginoso del pubblico, le produzioni sempre più brevi, l’aumento degli apparati amministrativi nei teatri a scapito delle personalità artistiche, la chiusure definitive di alcuni grandissimi teatri sono sintomi di un problema più vasto”, prosegue Bulgarelli.

E poi la provocazione, per quanto amara: “il teatro non è necessario, serve solo a noi che ci lavoriamo. Pochissimo pubblico ha dimostrato interesse per la chiusura dei teatri. Ammettiamolo dunque: forse, come linguaggio comunicativo dal vivo, il teatro è superato. Non finirà mai, poiché è una liturgia interessante, nonché veicolo di idee e di conoscenza ed è uno strumento ideologico, ma i suoi tempi dilatati, il suo essere elitario, il non poter essere al passo con le innovazioni tecnologiche del digitale, lo hanno relegato all’ultimo posto degli strumenti della comunicazione di massa. Al contrario, solo cento anni fa, ad esempio per il Futurismo, era il mezzo ideale per raggiungere il maggior numero di cittadini, e fino a 40 anni fa i suoi attori erano quelli da cui pescavano Tv e cinema, per cui poi il grande pubblico li andava a vedere dal vivo nel loro ambito naturale, il palcoscenico appunto”. Ora le cose sono profondamente cambiate, chi va a vedere dal vivo “una subrettina o un comico da tv privata, non ritorna a teatro perché ciò che ha visto non è che una copia di quanto offerto dalla televisione…” non si incuriosisce, non si appassiona, non nutre il desiderio di fare ritorno in platea per godersi un altro spettacolo di prosa.

Tra i mali più profondi e radicati però vi è la malaugurata idea, generalizzata nel nostro Paese, che “il mestiere del teatro sia un passatempo. Che chiunque lo possa fare, che chiunque possa aprire un corso per insegnarlo, che basti avere una telecamera per essere registi, andare a teatro per essere attori. Ciò che ha ucciso la prosa nel nostro Paese è la considerazione (spesso anche da parte della politica e della scuola) che sia una sezione dello spettacolo e della cultura per dilettanti”, ammette Davide Bulgarelli.

Per non parlare poi di tutti i “disperati tentativi di fare – o insegnare – teatro via Internet, via radio, nelle case, nei ballatoi… esperimenti mal riusciti che stanno portando via anche i pochi residui di pubblico rimasto, perché stanno abituando la gente a pensare che il teatro sia come Youtube, fatto di pillole, di sketches, di video, di animazione da villaggio turistico. Insomma – denuncia Davide Bulgarelli – proprio chi di teatro vive sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza del proprio mestiere”.

Certo lo Stato non aiuta e non stiamo parlando solo dell’oggi, gli aiuti ministeriali, infatti, seppur cospicui, “ai teatri pubblici e privati, aiutano soltanto i carrozzoni burocratici e non le maestranze, come attori, tecnici e registi, ovvero chi il mestiere lo fa quotidianamente sul campo”.

E allora che fare per salvare il teatro di prosa da questo lento, angoscioso e inesorabile declino?

“Si dovrebbe iniziare sin dalla scuola primaria ad avvicinare i bambini allo spettacolo – spiega l’attore e regista – e non certo con pseudo attori che vanno per le scuole a elemosinare un obolo per sopravvivere. Occorre portare i piccoli là, dove il teatro è fatto da professionisti, nei luoghi deputati, per far vivere loro tutti i riti connessi al teatro. Non fate frequentare corsi ai vostri figli senza informarvi sugli insegnanti. D’altronde non li portereste mai da un dentista non laureato”.

Il linguaggio della prosa dal vivo è invecchiato, démodé, ma vi sono paesi, come Francia, Inghilterra e Germania, in cui è vivo e vegeto e gode di ottima salute. Per catturare nuovamente l’interesse del pubblico, il teatro deve tornare a far riflettere, a far divertire in modo altro. Originale. Seppure con la lentezza che gli appartiene. Se poi, conclude provocatoriamente, Davide Bulgarelli, “è proprio il fatto che faccia pensare a renderlo antico e del tutto superato”, allora non c’è nulla da fare.

Jessica Bianchi

 

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