Quella del nuovo ospedale è una partita che continua a infervorare gli animi. Dopo dieci anni e oltre di sterile discussione, la questione pare avere subito una forte accelerazione grazie al protocollo d’intesa siglato da Azienda Usl e Comune. L’obiettivo? “Arrivare al completamento dello studio di fattibilità entro marzo 2021”, ha dichiarato il direttore generale dell’azienda Usl Antonio Brambilla. Pur plaudendo alla decisione di dotare la nostra città di una struttura ospedaliera tecnologicamente e logisticamente all’avanguardia molti cittadini si sono appellati ai due enti affinché facciano marcia indietro circa l’ipotesi di collocare il nuovo ospedale, nel quadrante Nord – Ovest della città, aldilà della tangenziale e della Statale per Fossoli, onde evitare la cementificazione di una vasta zona agricola.
Sostenibilità sociale, consumo di suolo zero, fruibilità dei servizi, possibilità di avviare subito i lavori senza dover attendere espropri e nuove strutture viarie. Sono questi i quattro punti cardine su cui si basa la riflessione di Carpi Bene Comune, unitamente a Carpi In Transizione, FIAB Modena – Sezione di Carpi, Legambiente Terre d’Argine, Lipu – Sezione di Carpi, WWF Emilia Centrale, Comitato salviamo gli alberi, Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana – Sezione di Carpi.
La loro idea è quella di costruire un nuovo padiglione di 6-7 piani nell’area compresa tra piazzale Donatori di Sangue e l’attuale camera mortuaria e prevederebbe la realizzazione di un nuovo parcheggio multipiano (fuoriterra). Tale soluzione permetterebbe il trasferimento dei reparti operatori e delle degenze senza nessuna interruzione delle attività sanitarie. Successivamente, si procederebbe alla demolizione di tutti gli edifici obsoleti, preservando: Radioterapia, Poliambulatorio e Centro di salute mentale. Le aree risultanti dalle demolizioni verrebbero rigenerate con nuovi spazi verdi, e parcheggi per i dipendenti.
Una proposta che il sindaco Alberto Bellelli ha rispedito al mittente sottolineando come “il rischio di rifarlo lì è quello di vedere reparti trasferiti a Modena che poi non torneranno a casa…”.
Sull’ipotesi di realizzare il nuovo polo sul sedime originario, ha aggiunto l’assessore all’Urbanistica Riccardo Righi, “vi sono troppe problematiche relative alla logistica, alla dotazione di parcheggi… per non parlare poi della rigidità della struttura che non permetterebbe un’evoluzione in corso d’opera né la realizzazione di un eliporto”.
Lapidario anche Brambilla che ha liquidato la faccenda sottolineando come “la localizzazione, approvata in sede di Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria, renderebbe la struttura facilmente accessibile per tutta l’Area Nord”, per buona pace della Bassa insomma…
Una cosa però è certa, lo studio di fattibilità ancora non c’è e nulla è stato deciso. L’ipotesi avanzata da Carpi Bene Comune – nata grazie agli spunti offerti dalle proposte strategiche avanzate alcuni anni fa dal Politecnico di Milano in una ricerca commissionata e voluta da tutte le Amministrazioni dell’Unione delle Terre d’Argine – è davvero tanto campata in aria? Lo abbiamo chiesto al professore del Politecnico, Edoardo Colonna, architetto che ha lavorato a quel progetto.
Professore quali sono i vantaggi della costruzione di un nuovo ospedale in prossimità dell’esistente anziché realizzarlo ex novo su un terreno ancora vergine?
“Le decisioni intorno alla costruzione di una porzione di una città, poiché la realizzazione di un complesso organismo qual è un nosocomio può sì essere percepito come una macchina funzionale dedicata alla cura e alla salute delle persone ma, in realtà, contiene un articolato sistema composto da molti altri servizi alla persona, da svariate attività commerciali, da spazi d’aggregazione, di conoscenza e cultura, di comunicazione, d’incontro… insomma le caratteristiche più evidenti di ciò che chiamiamo città, sono sempre alquanto complesse e ogni volta devono essere collocate all’interno di un quadro strategico generale che implichi delle scelte generali di lungo periodo e che individui delle linee direttrici in grado di orientare le future trasformazioni e quegli assetti desiderati per un intero territorio. Se la domanda è riferita in specifico alle questioni legate alla vetustà dell’ospedale carpigiano Ramazzini, all’interno dell’incarico esplorativo che l’Amministrazione dell’Unione delle Terre d’Argine ci aveva dato (ndr Politecnico di Milano) e che abbiamo terminato nel 2018, avevamo cercato di esplorare un sistema complesso di relazioni che legassero l’intero territorio, cercando di far emergere quegli elementi identitari che lo rendono unico, ad esempio attraverso un articolato sistema di mobilità, su cui abbiamo inteso proporre alcune prefigurazioni territoriali generali e specifiche. È all’interno di un confronto su queste logiche strategiche generali che andrebbero valutate le specifiche progettualità, le singole risorse, non concentrandosi soltanto sulla singola occasione. A prescindere infatti dalla specifica questione, ritengo che il rafforzamento urbano da noi proposto dell’asse Polo Sportivo, area Ramazzini, Piazza Castello/Duomo, Stazione (soprattutto in un’ottica di potenziamento della mobilità sostenibile), Parco Lama, che mi sembra che con le ultime scelte l’Amministrazione abbia cominciato a costruire, possa conferire struttura urbana a porzioni oggi disconnesse e costruite come mera sommatoria edilizia. In esso sicuramente il futuro dell’area in cui giace oggi l’ospedale giocherà un ruolo strategico importantissimo, come pure l’assetto del Polo Sportivo e la connessione con il Parco Lama”.
Ci può fare qualche esempio di rigenerazione di poli ospedalieri nel nostro Paese e nel resto d’Europa?
“Ogni città ha una propria storia evolutiva, spesso molto difficile da comprendere perché non lineare; la maggior parte delle città antiche di medio-grossa dimensioni ha un ospedale costruito all’interno del proprio tessuto e che giocoforza ricopre un ruolo urbano strategico. Mi vengono in mente alcuni ospedali a Barcellona, come ad esempio il centrale Hospital del Mar che riesce sia a giocare un ruolo urbano strategico nella costruzione del fronte a mare sia a instaurare felici relazioni con il parco della Barcelloneta adiacente, un po’ come avevamo cercato di fare nel nostro piccolo con le esplorazioni degli studenti che avevano lavorato sull’area Ramazzini.
Le scelte strategiche relative al tema della rigenerazione delle grandi macchine funzionali sono alquanto differenti e anche contrastanti, perché appunto strettamente legate alla progettualità a grande scala dei vari contesti in cui si devono attuare. Mi permetto di portare l’esempio di Milano, città in cui sono cresciuto e insegno, città per molti versi tumultuosa e schizofrenica; da un lato si sono susseguite costruzioni ex-novo di ospedali, recintati e posizionati in posizione esterna rispetto alla città, come ad esempio l’ospedale di Niguarda, costruito già nel 1939 nelle aree di espansione per ragioni di accessibilità, o il più recente Ospedale San Raffaele, o la futura cittadella della salute localizzata a Cinisello Balsamo sulle aree ex-Falk; dall’altro il Policlinico di Milano, grande ospedale cittadino costruito alle spalle dell’Università Statale in posizione centralissima, ha fatto una scelta differente, scegliendo la ricostruzione per parti; e proprio in questo momento è in costruzione un nuovo grande intervento dell’architetto Boeri in sostituzione di vecchi padiglioni; il suo ruolo di nodo urbano è stato rafforzato addirittura, sembra, facendo entrare un ingresso della nuova linea metropolitana all’interno del perimetro ospedaliero, trattandolo quindi alla pari delle altre porzioni urbane”.
A chi obietta che la posizione attuale produce e produrrebbe notevoli disagi per parcheggi e viabilità, cosa risponde? Quale soluzione suggerirebbe?
“Certamente una scelta come quella della ricostruzione sullo stesso sito di un Polo sanitario territoriale porta un notevole impatto dal punto di vista della gestione dei flussi, che sarà stato sicuramente oggetto di serie riflessioni da parte degli attori coinvolti nel processo decisionale. Indubbiamente, a mio parere, la formulazione di queste attente analisi deve avere la forza e la lungimiranza di rispondere non solo alle problematiche dell’oggi, ma traguardare anche i possibili cambiamenti delle abitudini dei cittadini dei prossimi decenni, che sembrano annunciarsi foriere di grandi mutamenti”.
Un’operazione come quella proposta da Carpi Bene Comune sarebbe più onerosa rispetto a una costruzione ex novo?
“Non conosco la proposta in oggetto in specifico e da un punto di vista professionale non mi è ancora capitato di affrontare un tema simile; all’interno del mio Ateneo, come già le avevo riferito nell’intervista di qualche mese fa, esistono competenze specifiche che meglio di me saprebbero affrontare seriamente questo tipo di studio di fattibilità. Mi limito a sottolineare come la recente ricerca nelle discipline economiche in generale abbia ormai allargato il campo delle analisi costi-benefici ben aldilà del calcolo della quantificazione meramente economica, rivendicando la vera essenza della oikonomia (ndr – termine che indica le riflessioni da parte del buon padre di famiglia su tutti gli aspetti che concernono la propria casa)”.
Gli ospedali oltre a curare possono essere grandi occasioni di crescita economica. Come un ospedale costruito vicino al centro storico potrebbe ridare linfa a una città piegata dalla crisi e dalla pandemia?
“Aldilà della singola funzione o destinazione, o meglio, del contenitore di variegate funzioni e destinazione, mi sembra di poter affermare che le modalità adoperate negli ultimi decenni nella costruzione della città abbia rivelato tutto il suo fallimento; questo periodo pandemico sembra aver riportato al centro non solo la necessità di una (ri)costruzione di un radicato senso comunitario (siamo tutti più “legati” di quanto ci hanno fatto credere negli ultimi 50 anni), ma anche un grande bisogno di socialità, incontro, convivialità, condivisione; tutto ciò dovrebbero essere rivitalizzato, se non ricostituito, attraverso un’articolata mixitè di funzioni, una riattivazione di reti di commercio sinergiche di prossimità, e di tutte quelle azioni in grado di riattivare la vitalità comunitaria. È questa la vera ricchezza che andrebbe ricercata. Penso che i futuri assetti delle città e dei territori si debbano fare fortemente carico di ciò e non permettere più la separatezza antiurbana delle lottizzazioni sparpagliate unite solamente da miserandi nastri asfaltati”.
Ausl e Amministrazioni continuano a ripetere che l’area dove sorge l’attuale Ramazzini essendo inserita in un contesto fortemente antropizzato non si presta a ospitare la nuova struttura. Come commenta?
“Non penso che l’Amministrazione a priori abbia escluso l’ipotesi di riqualificazione di quest’area, tanto che per anni abbiamo lavorato, seppur all’interno di ipotesi, ripeto, che mettevano in gioco scenari di trasformazione complessivi (a titolo esemplificativo, la trasformazione dell’attuale linea ferroviaria in metropolitana leggera e un sistema di trasporti capillari in tutto il territorio dell’Unione), alla prefigurazione di scenari di metamorfosi urbana che cogliessero le molte potenzialità insite nel mantenere lì la struttura ospedaliera. Immagino che nel momento dell’approfondimento necessario per risolvere questo nodo così importante, avendo a disposizione anche maggiori dati su cui appoggiare queste decisioni, siano emerse altri elementi e problematicità, di cui non sono a conoscenza”.
Da urbanista e conoscitore del nostro territorio, quale consiglio si sente di dare per la stesura del nuovo PUG?
“Penso che il PUG possa essere davvero un’occasione straordinaria; finalmente penso si stia facendo il primo passo per rompere quel localismo decisionale tanto deleterio nei nostri territori in generale (basti pensare alla dislocazione scellerata delle aree industriali pensate nella logica miope ristretta a livello intrinsecamente comunale). Sicuramente è un percorso appena iniziato; sarà molto lungo e non terminerà certo con questa prima stesura. Andrà curato in ogni suo passo stando attenti a non calarlo dall’alto, ma cercando di renderlo compartecipato attraverso percorsi di acquisizione di consapevolezza. Si tratta di (ri)costruire quel sentimento di comunità allargata, iscritto nella storia millenaria di questo territorio (basti pensare alla millenaria lotta contro le acque, alle bonifiche), e rompere quegli individualismi e particolarismi che hanno reso il territorio una somma insensata di pezzettini monadici. Mi sembra che il monito di questo drammatico periodo ci stia fortemente indicando la via, o meglio ri-insegnando a guardarla con occhi diversi”.
Jessica Bianchi