Celebrato il funerale del 22enne Enrico Lovascio: “una morte che ci lascia attoniti”

Celebrate questa mattina, in Cattedrale, le esequie del giovane carpigiano Enrico Lovascio, 22 anni, morto a causa di una grave malattia il 6 gennaio.

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“Il silenzio potrebbe bastare. Il silenzio e le lacrime, il fiume di lacrime sgorgate dagli occhi di chi ha conosciuto e amato Enrico e anche di chi, senza averlo mai incontrato, ne ha sentito parlare e letto in questi giorni. Il silenzio sembra l’unica voce adatta a un dolore così grande, a un mistero così fitto, a una morte che ci lascia attoniti. Se abbiamo l’audacia di rompere il silenzio, in punta di piedi, non è per pronunciare parole terrene, impotenti e banali davanti all’enigma della morte, ma per lasciar risuonare l’unica grande parola di vita eterna. La parola che i familiari di Enrico hanno scelto per la liturgia di oggi. Quella rivolta al re Davide: “Sono stato con te dovunque sei andato”; “ti darò riposo”; “il tuo trono sarà reso stabile per sempre”. E poi la parola proclamata nel Salmo: “canterò in eterno l’amore del Signore”. E ancora la parola del Vangelo: “io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo”. Sono parole che osano perforare il velo della morte, che osano dire “sempre”, quando noi diciamo “finché”; osano dire “in eterno”, quando noi diciamo “ieri, oggi, forse domani”; osano dire “do la mia vita e la riprendo”, quando noi diciamo “voglio farmi la mia vita”. Ma sono queste ormai, che superano il tempo, le sole parole adatte, le parole svelate nelle quali Enrico ora è immerso”.

Sono state queste le prime parole dell’omelia del vescovo Erio Castellucci in occasione del funerale celebrato questa mattina in Cattedrale, del giovane carpigiano Enrico Lovascio, 22 anni, morto a causa di una grave malattia il 6 gennaio. Enrico, studente di ingegneria, era un educatore scout della parrocchia della Cattedrale e inserito in diverse altre realtà corrispondenti ai suoi tanti talenti come la musica e lo sport della pallacanestro. Nelle scorse sere in Cattedrale tanti giovani e amici della famiglia, si sono stretti attorno ai genitori Raffaella e Giuseppe, al fratello Davide, seminarista, e alla sorella Elena, in preghiera e condividendo ricordi commoventi della radiosa figura di Enrico.

“È incredibile – ha detto il vescovo – il concentrato di mondi nei quali si è impegnato: pare impossibile che un giovane di 22 anni potesse coltivare tanti interessi, vivere tante relazioni e svolgere tanti servizi, con dedizione e precisione, così esigente com’era. L’enorme affetto che in questi giorni avvolge i suoi cari, e che quasi vorrebbe compensare la bruciante partenza di Enrico, è la prova che ha davvero “dato la vita” per molti. Sembra quasi che abbia voluto concentrare tutto in così poco tempo. L’esistenza umana non è impreziosita dalla lunghezza degli anni, ma dall’intensità con cui è vissuta.
Tutto passa, ogni cosa viene sequestrata in questa dogana suprema che è la morte; tutto tranne l’amore, perché Dio è amore (Prima Lettera di Giovanni 4,8.16). È questa la nostra destinazione, il traguardo del nostro sentiero. Mentre scorrono i giorni e cresce la famiglia dei nostri cari e degli amici che hanno oltrepassato la morte, diminuisce la paura di affrontarla; il volto stesso dell’Eterno si riempie di volti; e si fa più forte l’attesa di abbracciarli nel Signore. La speranza cristiana si nutre della preghiera dei viandanti di Emmaus: “Resta con noi, perché si fa sera”. Senza di te il buio è fitto; con te le tenebre lasciano trasparire quei raggi di luce che annunciano una vita senza fine”.

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