Adolescenti ai tempi del Coronavirus

L’episodio dello scontro a sprangate tra ragazzi alle 21 di sabato sera in piazza Martiri all’altezza del Duomo racconta che il disagio, intravisto finora solo nelle grandi città, è arrivato anche a Carpi. Per Maria Chiara Sacchetti, psicologa “non ci si può limitare a intervenire quando il danno è fatto e pensare che la correzione sia l’unica arma e l’unico strumento a nostra disposizione. Dobbiamo concentrarci di più sulla relazione”.

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In giro con il monopattino in due, il ritrovo nel parco dove c’è buio e non li vede nessuno, a passeggio con la cassa a tutto volume lungo corso Fanti. Niente scuola perché non ce la fanno a collegarsi a distanza, niente sport perché gli allenamenti sono sospesi, non ne possono più di non poter uscire costretti in casa proprio nel momento in cui stanno definendo un loro modo di vivere. L’episodio dello scontro a sprangate tra ragazzi alle 21 di sabato sera in piazza Martiri all’altezza del Duomo però racconta di più: il disagio, intravisto finora solo nelle grandi città, è arrivato anche a Carpi.

Maria Chiara Sacchetti, psicologa

Per Maria Chiara Sacchetti, psicologa scolastica presso il Comprensivo Carpi Centro nell’ambito del progetto Emotivamente finanziato dall’Unione Terre d’Argine e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi e responsabile del Centro Tice di Correggio, “a scuola si vede di tutto: ci sono ragazzini più fortunati per la quantità di attenzione, cure ed educazione che ricevono, altri sono più soli e abbandonati. Rispetto al contesto in cui hanno vissuto i loro genitori si ritrovano una Carpi meno ricca e in una realtà socio-culturale cambiata rispetto agli Anni ’80 e ’90 in cui si stava ancora molto bene. Oggi ci sono situazioni familiari più complesse e c’è un numero maggiore di ragazzi in difficoltà: c’è chi è abituato a farsi valere così”.

Di cosa c’è bisogno?

“Ho come la sensazione che si cerchino sempre dei colpevoli tra gli adulti e si tenda a scaricare la responsabilità: la famiglia dà la colpa alla scuola, la politica alla famiglia. Il fatto che nessun adulto si assuma alcuna responsabilità spiega perché la comunità, una volta molto più presente, oggi sia assente. C’è un individualismo molto più forte, e questo non lo dico io, ma tanti studiosi hanno sottolineato come nella crescita di questi ragazzi l’attenzione riservata all’individuo più che alla collettività è un fattore che differenzia le generazioni di oggi rispetto a quelle del passato. Nella prevenzione, nel contenimento e nell’accompagnamento di queste devianze l’assenza di una comunità è un fattore di rischio importante: se non ci sono adulti che si occupano di questi ragazzi, a scuola, in famiglia, nel bar dove si ritrovano allora vuol dire che tutti gli adulti che ruotano intorno a queste compagnie pensano che non è un problema loro.

Sapere di avere dei punti di riferimento, qualcuno che li vede e che li ascolta per questi ragazzi rappresenta un’opportunità di fermarsi, di riflettere e di chiedere aiuto o semplicemente di aprirsi e di non scoppiare”.

Che modelli hanno?

“Si danno molte responsabilità agli youtuber e agli influencer forse perché una volta non c’era questo bombardamento mediatico ma gli adulti sono tutti modelli, prima di tutto quelli che ruotano intorno agli adolescenti di oggi. Ci sono responsabilità da parte dei mass media ma fanno capo agli adulti che ci danno la lente attraverso cui vedere il mondo ma è sempre più importante che ciò venga fato in modo consapevole: non per ottenere consenso, share, like e visualizzazioni ma con responsabilità rispetto al messaggio che si dà. Noi che non siamo nativi digitali tendiamo a pensare che quello che avviene sui social non sia la realtà perché virtuale e che sia una distorsione, ma è reale. Per forza di cose i ragazzi vengono influenzati ma non è colpa dei modelli social se deviano: ci sono tante figure interessanti e intelligenti anche sui social. Come succede nella vita di tutti i giorni ci vorrebbe un accompagnamento dell’adulto per educare il ragazzo a muoversi anche nella vita virtuale che gli appartiene e che noi tendiamo a rifiutare evitando di affiancarli per discernere ciò che è buono da ciò che non lo è”.

Se incrociamo un adolescente che passeggia con la cassa a tutto volume che dobbiamo fare? Le risposte strafottenti fanno parte dell’età?

“Questa è una di quelle cose che non è cambiata rispetto al passato: creare la distanza con gli adulti è il mestiere degli adolescenti e penso che sia così da sempre. Un comportamento provocatorio o trasgressivo, nel momento in cui viene ripreso dall’adulto, genera una risposta strafottente da parte dell’adolescente e questa mi sembra una dinamica abbastanza classica nella relazione tra adulti e giovani. Il punto è creare un collegamento con questi ragazzi non solo per riprenderli quando fanno qualcosa che non va. L’educazione non si può limitare a essere un insieme di norme da rispettare o solo correttiva di comportamenti che non funzionano bene e che ci disturbano: dobbiamo creare delle relazioni, dobbiamo creare un legame con loro, vederli e osservarli e far sentire loro che sono visti da noi adulti, anche quando non hanno un comportamento sopra le righe, soprattutto quando non si comportano in questo modo perché solo così possiamo creare un legame e poter influire su di loro quando poi avvengono episodi di una gravità maggiore. Non ci si può limitare ad arrivare quando il danno è fatto e pensare che la correzione sia l’unica arma e l’unico strumento a nostra disposizione. Dobbiamo concentrarci di più sulla relazione”.

Che generazione è?

“E’ una generazione di giovani che fanno i giovani, come è giusto che sia. Vivono una realtà molto più digitale e virtuale della nostra ma è reale anche quella, una realtà dove c’è molto individualismo generato dagli adulti. Penso che sia una generazione di ragazzi molto più consapevoli a livello emotivo e con tante risorse. Forse avrebbe senso concentrarsi di più sul valorizzare queste risorse”.

Sara Gelli

 

 

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