E’ il pellegrinaggio più significativo per un credente: in Terra Santa si respira Gesù, si ritrovano i luoghi in cui Lui ha vissuto, si riscopre l’origine della propria fede e ci si immerge in essa. Tania e Paco trascinano il lettore in Dodici giorni in Israele e lo portano con loro. Pare di esserci con Tania nella Basilica della Natività dove “le lampade ortodosse sono appese al soffitto e man mano che si scende nella cripta, il loro numero aumenta, fino a diventare fitte come alberi di una foresta, a simboleggiare che Tu sei la luce delle genti” o con Paco davanti al Muro del Pianto, “una muraglia di inni di lode e suppliche che come formichine bianche sono in marcia verso la Grazia dall’Altissimo”.
Attraverso il diario di Tania e Paco si vive l’incontro con Gesù alla riscoperta della fede più genuina a cui riportano le citazioni che rischiarano questo racconto: i versetti di Matteo per comprendere la conversione di Tania, “allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua… Mi hai scelta, Tu solo sai il perché. Mi hai dato uno strattone forte per salvarmi dalle sabbie mobili in cui stavo sprofondando, avvicinandomi a Te. Ora io sono qua, sul Tabor, ho lasciato tutto e Ti ho seguito… e sorrido a mio marito” oppure per sottolineare la consapevolezza dei condizionamenti della setta religiosa da cui Paco si è emancipato, “guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. E pensare che io sono cascato nella loro rete insieme a quei poveracci dei miei fratelli e delle mie sorelle, che non si sono accorti di niente e continuano a star dietro a quei sepolcri ambulanti, stracci maleodoranti, bramosi di contanti, amen et amore Dei”.
Paco Lumaca, nella descrizione di Tania, è “un ragazzo moro, ricciuto, indossa occhiali neri e ascolta la musica con gli auricolari, agita la testa, mi sembra un tipo un po’ strano”: 26 anni, deve il nome alla madre madrilena, fatica a trovare un posto nel mondo e apre il suo cuore attraverso le rime delle poesie improvvisate; da dieci mesi si rivolge allo psicologo, che è il suo unico aiuto, per superare ansia e depressione dopo dieci anni trascorsi con i Neofiti della Scala, una setta religiosa il cui guru, lo Scriba, ha la sua base a Fregene dove le cellule dei fedelissimi si radunano per passare gli scalini, che sono sette.
Tania Conte donna matura, felicemente sposata a Stefano, abita a Finale Emilia; alla carriera nel campo della moda ha sacrificato la maternità, poi il punto di svolta con la crisi innescata dalla malattia che diviene l’occasione per rivedere tutta la propria vita.
Le loro due voci, diverse ma complementari, si alternano nella narrazione in prima persona nel diario di viaggio la cui trama si infittisce tingendosi di giallo nel momento in cui viene commesso un misterioso furto, fino al colpo di scena finale.
La scrittura chiara ed espressiva consente di procedere agilmente nella lettura del romanzo che ha una sua complessità di struttura ben congegnata dalle autrici carpigiane Maria Teresa Cardarelli e Ivana Sica che in Dodici giorni in Israele propongono al lettore un viaggio di consapevolezza interiore.
Sara Gelli