Non usa toni apocalittici o frasi ad affetto e, ben consapevole della sottile differenza tra ansia e attenzione, si attiene a descrivere la realtà quale essa è. Dopo aver guidato la sua équipe nel momento più drammatico della pandemia tenendo unita la sua squadra di fronte al virus che ha spazzato via convinzioni sulle quali fino al giorno prima si era basato il loro lavoro e contro il quale nessuna terapia sembrava efficace, oggi con lo stesso rigore che non concede alcuna tregua al Covid, il dottor Alessandro Pignatti, primario di Anestesia e Rianimazione all’Ospedale Ramazzini di Carpi ribadisce che “ci vorranno ancora diversi mesi per modificare il quadro perché il vaccino non sarà disponibile per tutti e saremo costretti ancora per un po’ a convivere con il virus”. Insiste sulle misure di protezione individuale che sono “importantissime” e si rivolge ai ragazzi richiamandoli alla responsabilità.
Dottore, cosa ne pensa dei bollettini dei contagi che crescono esponenzialmente: non erano rappresentativi della realtà sette mesi fa perché non avevamo sufficienti tamponi, oggi cosa è cambiato? Ci sono molti più positivi perché facciamo più tamponi?
“Sono rilevazioni statistiche che danno il polso di una situazione in evoluzione e che necessita la massima attenzione da parte della politica e delle autorità sanitarie: attraverso questi numeri la popolazione si deve rendere conto che è necessario più che mai prestare attenzione alle misure di protezione: igiene delle mani, distanziamento e le mascherine perché forse quest’estate l’attenzione è un po’ calata: avevamo tutti bisogno di un po’ di serenità perché eravamo reduci da un periodo molto impegnativo. Questi numeri servono a ricordare che questa è una guerra che non è finita”.
È evidente che più tamponi facciamo più positivi abbiamo…
“Il problema che avevamo quest’inverno era esattamente l’opposto: non riuscivamo a fare un tracciamento adeguato perché c’era un numero di tamponi insufficiente. Anche allora la curva esponenziale era in crescita. Ben venga, dunque, un numero maggiore di tamponi per rilevare un numero maggiore di positivi. Non abbiamo altra scelta perché sono poche le armi a disposizione: il tracciamento, le indicazioni delle curve di contagio e le misure di prevenzione”.
Quanti pazienti avete curato in Terapia Intensiva a Carpi? Oggi quanti sono i letti occupati?
“Durante la prima ondata abbiamo curato in Terapia Intensiva quaranta pazienti e i decessi sono stati otto. E’ operativo un coordinamento provinciale a cui aderiscono le terapie intensive di tutto il territorio e si lavora attivando risposte a quadri di gravità crescente della diffusione del virus in base a una strategia di adattamento delle strutture sanitarie.
Policlinico e l’ospedale di Baggiovara sono, in questa fase, in prima linea e si stanno facendo carico dei pazienti acuti e di quelli che necessitano assistenza respiratoria: il coinvolgimento delle strutture ospedaliere della rete provinciale è studiato secondo un criterio di progressività e proporzionalità dei contagi.
Se le misure adottate non saranno sufficienti, di fronte ad un ulteriore aumento dei contagiati e solo dopo la saturazione dei posti letto che sono stati creati al Policlinico di Modena e a Baggiovara, verranno attivati quelli delle altre terapie intensive, compresa la nostra. Ad oggi nella Rianimazione di Carpi non abbiamo pazienti Covid positivi: il nostro compito attuale è quello di svolgere una funzione di supporto agli Hub provinciali ricoverando pazienti che necessitano di terapia intensiva ma non sono Covid positivi. È una situazione in costante evoluzione ed è difficile prevedere cosa accadrà: speriamo che le misure adottate si rivelino efficaci nel contenere il contagio ma potrebbe rendersi necessario che la nostra Rianimazione torni ad essere Covid. La nostra speranza è che si appiattisca la curva che registra l’incremento dei pazienti infetti e si stabilizzino i numeri, in modo da permetterci di gestire la diffusione del contagio in maniera ragionata senza dover rincorrere continuamente i numeri”.
C’è differenza tra i ricoverati di oggi e quelli di sette mesi fa?
“Non c’è nessuna differenza, il virus è sempre lo stesso, semplicemente le misure adottate lo scorso inverno hanno dato un effetto macroscopico di una riduzione dei contagi. La curva ci ha messo un po’ di tempo per appiattirsi ma lo ha fatto in risposta alle misure che sono state prese. Il virus ha continuato a diffondersi attraverso i giovani che sono più resistenti alle complicanze a livello polmonare per poi allargarsi all’intera popolazione colpendo le fasce più deboli e gli anziani”.
C’è carenza di letti covid negli ospedali al di fuori delle terapie intensive?
“No, e le dico anche il perché. Questa epidemia ci ha insegnato alcune cose e arriviamo più pronti a questa nuova ondata anche se i numeri che si profilano sono importanti e meritano la nostra massima attenzione.
Oggi interveniamo prima sui pazienti sintomatici che, nella prima ondata, restavano al domicilio: chi ha i sintomi del coronavirus nei quadri più complessi viene ricoverato e tenuto in osservazione per evitare che si aggravi e arrivi in Terapia Intensiva per essere intubato. È cresciuto il numero di ricoveri di questi pazienti perché abbiamo visto che una delle poche carte a disposizione è la presa in carico precoce dei pazienti sintomatici. In conseguenza dell’aumento del numero di pazienti ricoverati e della necessità di posti letto, l’Azienda Usl ha predisposto un disegno che prevede l’attivazione di posti letto dedicati sulla rete degli ospedali per far fronte a questa necessità”.
Dove vengono accolti i pazienti Covid?
“La risposta è modulata sulla base delle esigenze che si presentano e prevede che si utilizzino i letti Covid negli ospedali chiamati per primi a far fronte a questa seconda ondata.
Anche l’Ospedale di Carpi si è riorganizzato e, presso la Medicina 1 è stata creata un’area protetta e isolata dedicata ai pazienti Covid con condizioni cliniche che non richiedono il ricovero presso i centri di riferimento (Policlinico e Baggiovara) o comunque asintomatici ma che necessitano di ricovero ospedaliero per altre patologie, ad esempio di ambito chirurgico o ortopedico. Sono già stati collocati nella nuova area, due pazienti del Ramazzini risultati positivi a seguito di screening tramite tampone presso Ortopedia”.
Quanti sono i posti letto nella Terapia Intensiva di Carpi?
“La nostra capacità di ricovero standard prevede otto posti letto più due di emergenza che sono attivabili immediatamente. Spero che i numeri rallentino, perché con questo trend di crescita aumenteranno i pazienti che necessitano di assistenza respiratoria e per far fronte a nuovi ricoveri potremmo trovarci costretti a trasferire parte dell’attività chirurgica, come nella prima ondata, in altro blocco operatorio per attivare altri otto posti aggiuntivi”.
Quando qualcuno dei suoi colleghi dice: “non siamo più in trincea” condivide? Cosa avete imparato da marzo a oggi, come è cambiata la gestione?
“Noi siamo sempre in trincea, se non è per il Covid è per altri motivi. Io amo il mio lavoro. Essere in trincea è un termine che rende bene l’idea delle difficoltà che affrontiamo, però lo trovo eccessivo. Sicuramente la situazione è in evoluzione e merita la nostra massima attenzione”.
Cosa abbiamo imparato da marzo a oggi? Cosa è cambiato nella cura e nella gestione del paziente Covid?
“Abbiamo imparato tante cose. Gli antivirali si sono rivelati sostanzialmente inefficaci e non sono più farmaci di prima linea. Alcuni di questi avevano dato anche complicanze gravi che abbiamo dovuto gestire nel trattamento di questi pazienti e sono stati abbandonati. Una risorsa importante ci è venuta dall’utilizzo precoce del cortisone: si è rivelato un’arma efficace contro questa infezione sebbene il ricorso a questo farmaco nelle infezioni virali merita un approccio ragionato perché deprime la risposta immunitaria, che è la prima difesa del nostro organismo verso l’aggressione del virus. Il Sars -CoV-2 però induce una liberazione di citochine responsabili del danno polmonare e necessita pertanto di un trattamento immuno-soppressivo per limitarne al massimo le conseguenze. Si sono rivelati estremamente efficaci anche il ricorso ad anticorpi monoclonali (Tocilizumab) e la terapia anticoagulante spinta agli estremi perché le complicanze trombotiche indotte da questa malattia sono potenzialmente letali. Questi sono stati gli insegnamenti più importanti in conseguenza della prima ondata”.
Nel futuro è previsto che si possano fare progressi per quel che riguarda i farmaci e il vaccino?
“Sulle terapie non sono in grado di esprimermi ma continuiamo a mettere a confronto le esperienze nell’ambito del gruppo regionale che si occupa dell’elaborazione delle linee guida terapeutiche e di cui faccio parte.
Il vaccino è l’unico modo per uscire fuori da questa gabbia: siamo alle prese con un virus estremamente efficiente e, sebbene le misure di distanziamento, igiene e protezione siano importantissime non sono sufficienti a contenerlo. Il vaccino può essere l’unica risposta. Io credo di parlare anche a nome dei colleghi sanitari quando dico che lo stiamo attendendo come manna dal cielo.
È vero che qualsiasi farmaco ha degli effetti collaterali di cui troppo spesso ci dimentichiamo ma, in qualsiasi terapia l’unico fattore discriminante per la scelta e la somministrazione è il rapporto rischio-beneficio e il vaccino indubbiamente è l’unica strategia che si potrà rivelare vincente.
Ci vorranno diversi mesi per cambiare questo quadro perché non sarà possibile vaccinare tutti immediatamente e saremo costretti a convivere con il virus ancora per un po’. Quindi le misure di protezione individuale restano fondamentali. Posso rilevare una questione per me fondamentale?”
Certo, prego…
“I ragazzi hanno una grande responsabilità e non devono sottovalutare il virus per il semplice fatto che sostanzialmente non pagano le conseguenze più gravi: sono dei vettori importanti nella diffusione del contagio. Io capisco la voglia di socialità e di stare insieme senza la mascherina ma avete una famiglia, avete dei nonni, avete dei genitori e mettete a rischio la loro salute. Dovete sempre averlo presente anche quando le misure di protezione vi vanno strette in ragione della vostra età e del vostro sistema immunitario: sono pensate proprio per tutelare le fasce più deboli della popolazione anche all’interno delle famiglie”.
Che ne pensa delle misure del Governo?
“Io non ho la ricetta perfetta e in queste circostanze è bravo chi sbaglia meno. Lo scorso inverno sono state fatte delle previsioni che poi sono state puntualmente smentite. Preferisco lasciare al comitato di esperti il delicato compito di soppesare le misure di protezione con quelle che sono le ricadute sociali in termini di posti di lavoro e sull’occupazione di tante persone che possono subire dei contraccolpi pesanti dalla chiusura della loro attività. Il criterio che si è scelto nel rispondere alla pandemia tiene conto delle esigenze economiche. oltre che di quelle sanitarie. E’ un criterio di proporzionalità, che condivido.”.
Servono di più i letti o il personale?
“È una coperta corta: per coprirsi il naso si scoprono i piedi. C’è carenza di medici a livello nazionale e, per alcune categorie come la mia, è fortissima. Stiamo ricorrendo all’utilizzo di specializzandi che sono una risorsa importantissima e si sono rivelati una carta vincente nella risposta emergenziale.
E’ chiaro che la programmazione dell’accesso alle scuole di specialità dovrà essere fatta tenendo conto dei numeri attuali non sufficienti a coprire le esigenze. Medicina d’urgenza e Anestesia e Rianimazione sono in prima linea nell’affrontare quadri gravi: oggi è il Covid, in futuro altre emergenze ci impegneranno a lottare per salvare la vita”.
Sara Gelli