Come eravamo: il commercio a Carpi

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Prima metà degli anni ’50 del ‘900. Interno salumeria Corsi sotto i portici di Corso Alberto Pio. Sul banco le bilance automatiche sono a due piani e l’affettatrice è semiautomatica

Inizia il nostro viaggio fotografico e non solo nella Carpi di ieri. Il primo appuntamento è dedicato al commercio, grazie al prezioso contributo di Luciana Nora e al suo “Commercianti si nasce… specialmente a Carpi”.

E’ il commercio l’ambito della ricerca affidata a Luciana Nora nel volume che celebra il trentennale di Confesercenti Carpi, pubblicato nel 2001. Grazie a lei, la sezione etnografica dei Musei di Palazzo Pio ha offerto alla città contributi preziosi per ricostruire storia e costumi locali. In Commercianti si nasce… specialmente a Carpi, Luciana Nora scrive anche della trasformazione in atto alla fine degli Anni ’50.

Prima metà del ‘900. Interno di negozi di generi alimentari posto in via Santa Chiara

Il divario tra presente e passato rispetto al concepimento del bisogno è abissale e, fino alla seconda metà degli Anni ’50, il superfluo era inconcepibile per la maggioranza della popolazione. Ovviamente i bisogni mutano in relazione al ceto di appartenenza, ma anche le classi alte investivano in beni di lunga durata o che almeno pretendevano di essere tali. I bisogni primari, come quello di alimentarsi, vestirsi, il conforto abitativo e le pratiche di socializzazione venivano soddisfatti in maniera a dir poco autarchica. La famiglia contadina, fino ai primi Anni ’50, per quanto atteneva il vitto, era pressoché autosufficiente: allevava il maiale a uso proprio, teneva il pollaio e l’orto e traeva il latte e i suoi derivati dalla stalla. Si acquistavano generi come il sale, lo zucchero, la pasta secca non all’uovo e altre minuterie con sistemi molto simili al baratto: ci si portava al mercato con una coppia di pollastri e qualche dozzina di uova e, col ricavato della vendita, ci si riforniva di saracche, baccalà e poche altre povere cose. Assai esiguo era il consumo di carne bovina, a uso bollito: al massimo e in piccole quantità una volta la settimana, di norma la domenica. Ristrettissime inoltre erano le risorse da destinare al vestiario più che spartano: per abiti e scarpe ci si forniva della materia prima in metratura misurata a braccia, badando soprattutto alla sostanza, associata alla convenienza più che all’apparenza.

Macellai carpigiani mostrano con orgoglio i capi di bestiame prossimi al macello le cui carni sarebbero state in vendita presso il loro esercizio. Gli animali erano fatti girare per le vie cittadine affinché da parte della cittadinanza fosse possibile apprezzarne la qualità

A domicilio, su compenso perlopiù in natura, un sarto e un calzolaio provvedevano al bisogno. Erano abiti “tagliati con l’accetta”, che dovevano durare il più a lungo possibile, voltati e rivoltati, rappezzati, riciclati in ambito familiare dal più grande al più piccolo.
Un armadio a due ante e una cassapanca erano più che sufficienti a contenere la biancheria e l’abbigliamento, sia estivo che invernale, di una famiglia.

Primi anni ’60 del ‘900. Piccola bottega di generi alimentari in via Berengario. I titolari Galasso e Norina ripresi alla vigilia della cessazione della loro attività fino alla fine hanno gestito il loro esercizio alla maniera antica: affettavano il salume manualmente, vendevano l’olio anche sfuso e anche per le piccole dimensioni del locale e dello spazio a esso antistante, la loro offerta era essenziale

Ancora all’inizio degli Anni Sessanta, anche presso i negozi di una certa levatura, come ad esempio la merceria delle sorelle Casarini sotto il portico di Piazza Martiri, le sorelle Gualdi di Corso Roma e ancora la corsetteria delle sorelle Gibertoni, era possibile farsi ramagliare calze di seta o di nylon con tempi piuttosto lunghi. La svolta epocale, la cui origine prende le mosse dalla terra bruciata creatasi con il secondo conflitto mondiale, iniziò a palesarsi alla metà degli Anni ’50.

Primi anni ’50 del ‘900. Portico lungo di Piazza Martiri
Foto Gasparini. Carpi
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