La Reumatologia nell’era del Covid

Pochi i casi di contagio da Covid tra i malati cronici e autoimmuni reumatici: “Si contano sulle dita di una mano”, riferisce la professoressa di Reumatologia presso l’AOU Policlinico di Modena, Maria Teresa Mascia. A settembre partirà uno studio.

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Maria Teresa Mascia

Sono più di 5milioni le persone affette da una patologia reumatologica in Italia, di cui più di 3.500 nella sola provincia di Modena, e tutte in cura dagli esperti della Struttura Complessa di Reumatologia del Policlinico di Modena e dai reumatologi che operano negli ambulatori territoriali. Realtà ospedaliera e territoriale, da un anno a questa parte, hanno dato vita alla Rete Reumatologica modenese: fin dagli albori di quella che sarebbe diventata ben presto una pandemia, si è attivata con tempestività per non fare mancare nessun tipo di assistenza ai pazienti. “Ci siamo attrezzati, abbiamo fatto chiamate, videochiamate con i nostri mezzi in alcuni casi, per fare visite a distanza. Non abbiamo lasciato solo nessuno”, spiega Maria Teresa Mascia, reumatologa presso la Struttura Complessa di Reumatologia del Policlinico di Modena e docente presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.

Ci sono stati casi di Covid tra chi ha una patologia reumatologica cronica e autoimmune?

“Pensando al rischio maggiore che avrebbe potuto correre il paziente fragile e immunocompromesso a causa di alcune terapie in atto come lo sono alcuni dei nostri pazienti reumatologici, l’eventualità che ci potessero essere molti casi di Covid ci aveva preoccupato molto all’inizio dell’emergenza. Poi, col passare dei giorni, ci siamo tranquillizzati: i pazienti reumatologici contagiati nella nostra realtà modenese si possono contare sulle dita di una mano. Sono davvero pochi. Abbiamo delle ipotesi su tale fenomeno: i meccanismi su cui si basa l’aggressione del Covid, che richiedono una importante risposta immunitaria, probabilmente sui nostri pazienti non si attivano in quanto già immunocompromessi. Stiamo mettendo a punto un progetto di ricerca che partirà in autunno, per controllare se hanno sviluppato anticorpi dati dall’infezione da Covid attraverso i test sierologici e capire così quanti eventualmente sono stati contagiati senza avere sviluppato la malattia. Inoltre, vorremmo anche indagare se il mancato sviluppo nelle forme più gravi del Covid sia stato dovuto proprio alla loro immunocompromissione. Uno dei fattori che li ha protetti è di certo stata la preoccupazione del contagio, perché considerati inizialmente pazienti più fragili di altri”.

Se la preoccupazione è stato un fattore di protezione, potrebbe di contro avere come conseguenza una riattivazione della malattia?

“Sappiamo che lo stress può riattivare la malattia autoimmune e può essere causa di aggravamento della fibromialgia, un’altra fetta importante della casistica reumatologica. Le nostre telefonate periodiche hanno anche il compito di gestire lo stress di tutti questi malati. Se si danno motivazioni scientifiche e razionali ai pazienti, si può aiutare loro a contrastare le situazioni stressogene. La comunicazione corretta aiuta sempre. Stiamo valutando anche le conseguenze future di chi ha contratto il Covid, non solo tra i nostri pazienti, ma tra tutta la popolazione infettata. Sappiamo che dopo la SARS del 2002 o l’infezione con altri tipi di Coronavirus c’è stata una maggiore incidenza di casi di artrite reumatoide. Il virus, quindi, potrebbe innescare un maggior numero di malattie reumatologiche”.

Un’altra preoccupazione dei malati reumatologici affetti da Lupus, Artrite reumatoide, Sindrome di Sjögren e altri con connettiviti in terapia con l’idrossiclorochina è derivata dal mancato reperimento di questo farmaco. E’ stato così anche nel nostro territorio?

“Nel modenese abbiamo ricevuto pochissime segnalazioni del mancato reperimento nelle farmacie territoriali del farmaco. Per quei casi, abbiamo contattato subito la nostra farmacia del Policlinico e da subito ha fatto in modo che i pazienti reumatologici avessero il loro farmaco senza problemi”.

Quale sarà a suo parere il futuro della Reumatologia?

“Stiamo lavorando a un progetto: appena messo a punto, lo sottoporremo alla Direzione Sanitaria. Vorremmo che fosse un modello da seguire anche per altre realtà territoriali. Dobbiamo mettere tutti in conto che ci saranno cambiamenti importanti: non torneremo allo status quo, questa pandemia modificherà molto del nostro quotidiano, sia nel modo di fare assistenza sia nelle relazioni personali. Ora con la Fase2 stiamo tornando a una pseudo normalità ma questo non vuol dire che potremo abbassare la guardia. Questo virus lo conosciamo ancora troppo poco. L’approccio seguito dalla Rete Reumatologica modenese, basato anche su chiamate e videochiamate, potrebbe quindi continuare. Questo contatto mediato coi nostri pazienti avrebbe anche il vantaggio di non dover far fare tanti chilometri ad alcuni di loro per raggiungerci negli ambulatori. Prima dell’emergenza sanitaria li vedevamo regolarmente ogni 3 mesi, ora potremmo spostare gli incontri a 6 mesi di distanza intervallandoli con i controlli via telefono o via videochiamata. Sarebbe un vantaggio anche per gli accompagnatori, in questo modo, non dovrebbero chiedere permessi al lavoro. Certo, chi riterremo che dovrà comunque venire presso i nostri servizi, sarà invitato a farlo. La Scleroderma Unit si sta attrezzando per avere a disposizione una piattaforma regionale che possa mettere in condivisione la documentazione clinica dei pazienti fra gli esperti regionali che trattano questa patologia”.