Nell’Italia costretta alla quarantena, la vita è completamente cambiata nelle abitudini, nei riti, nell’organizzazione familiare e lavorativa. La pandemia ha stravolto le tradizioni più consolidate della storia: tutte le messe sono state sospese, la celebrazione di ogni sacramento pure. I sacerdoti hanno trovato altre forme per stabilire contatti con i fedeli ricorrendo alla tecnologia esplorando territori che non avrebbero mai esplorato altrimenti. Non si contano le celebrazioni via streaming o attraverso le televisioni nazionali o locali, a partire dalla seguitissima messa di Papa Francesco alle 7 del mattino da casa Santa Marta. Dal 18 maggio sono riprese le messe coi fedeli conciliando le esigenze di culto con il massimo di sicurezza possibile per la salute pubblica. “Il periodo del lockdown ha rivelato aspetti interessanti in relazione all’interiorità” sottolinea monsignor Ermenegildo Manicardi, Vicario Generale della Diocesi di Carpi “ma certamente le celebrazioni a distanza mettono in difficoltà la realtà della Chiesa, dal greco ecclesia, convocazione. La Chiesa c’è quando le persone si radunano”.
Tanti hanno apprezzato le dirette televisive del Papa e quelle dalla Cattedrale ma non tutti nella Chiesa erano pronti e preparati alla rivoluzione digitale. Che ne pensa delle celebrazioni a distanza?
Monsignor Manicardi precisa che, in termini tecnici e teologici, quando un gruppo di credenti si raduna intorno a un Vescovo, lì abbiamo l’ecclesia che nel linguaggio amministrativo dell’impero romano si può chiamare Diocesi oppure, lontano dalle metropoli, Parrocchia quando le case vicine a quella del parroco diventano luoghi di riunione.
L’idea di radunarsi è essenziale: la celebrazione dell’Eucarestia nel ricordo di Gesù, presuppone una struttura comunitaria.
“Per capire ciò che è successo con il lockdown – prosegue monsignor Manicardi – occorre tornare, e con robustezza, al concetto di interiorità partendo da una domanda. In un normale contesto, su che cosa deve insistere la predicazione? Lo dico con un’espressione latina per dimostrare che è un classico della pastorale di molti secoli: sulla fructuosa partecipatio. Il credente ha partecipato fruttuosamente all’Eucarestia? Se è entrato carico di egoismo, di peccato e si è limitato a una partecipazione fisica, cantando e inginocchiandosi, la partecipazione sarà infruttuosa.
Il prete, da parte sua, dovrebbe preoccuparsi di pregare così intensamente da riuscire a coinvolgere il più possibile le persone curando gli aspetti tecnici e formali (microfono, illuminazione, riscaldamento) ma soprattutto stimolando commozione e partecipazione”.
Nel lockdown cosa è successo?
“Costretti in casa, ci è stato chiesto di sviluppare più nel profondo la nostra interiorità. Seguendo in tv la messa del Papa, è evidente che un fedele non possa fare la comunione ma può vivere la comunione spirituale, la quale dipende dalla ricchezza soggettiva della persona che prega chiedendo al Signore di essere veramente unita a Lui e questo può accadere. Abbiamo capito che le nostre case, i nostri soggiorni, partecipando alla messa coi figli e coi nonni, diventano luoghi di preghiera. Celebrando in Duomo ho usato spesso l’espressione cappelle laterali della nostra Cattedrale, riferendomi a chi seguiva da casa. La Cattedrale era pressoché vuota ma intorno c’era una rete innumerevole di famiglie. Questa scoperta è la cosa più grande e non dovrebbe andare persa”.
Ora che viviamo le celebrazioni in presenza quali indicazioni ha dato in qualità di Vicario generale?
“Il Vescovo Monsignor Castellucci, e io di conseguenza, non abbiamo dato indicazioni ma abbiamo cercato di fornire elementi di riflessione. Un primo dato importantissimo per una chiesa è che la comunità è una cosa seria e la vicinanza con gli altri necessaria, ma può essere anche pericolosa. La Chiesa non può rinunciare a essere comunione ma non può trasgredire le regole della distanziazione, necessaria per non far risalire la pandemia.
Questa situazione ha dato la possibilità di riflettere sul fatto che i rapporti con gli altri non vanno presi alla leggera e in modo sciatto: la vicinanza all’altro e l’adeguata distanziazione sono fondamentali affinché l’altro sia libero”. L’esempio citato da monsignor Manicardi per chiarire il concetto è quello di certi genitori troppo invadenti o, al contrario, completamente assenti.
Il Covid 19 ha interrotto le attività nelle parrocchie, le attività associazione e la preparazione del catechismo. Che succederà?
“Come per le scuole, anche per quel che riguarda i Sacramenti della Comunione e della Cresima è stato tutto rimandato. Avevo suggerito, ma con poco seguito, che si potrebbero radunare le classi di catechismo quest’estate per fare giochi adeguati e nel rispetto del distanziamento per irrobustire così il rapporto coi ragazzi seguiti fino ad oggi con le varie piattaforme. Ormai sono annoiati e cercano occasioni di relazione. A preoccuparmi più del catechismo è l’impossibilità di poter programmare la formazione attraverso i campi estivi, un modulo estremamente importante utilizzato a Carpi da Azione Cattolica, Agesci e Comunione e Liberazione. Il campo associativo è da sempre lo strumento di comunicazione di nuove prospettive e idee. L’associazionismo ha una grande sfida davanti a sé.
Per i giovani il campo è una grande opportunità di crescita nell’idea che l’essere insieme sia di per sé già formativo. Il rischio di isolamento insito nelle nuove tecnologie con il lockdown si è ancor più accentuato. Penso all’esasperazione che hanno provato i ragazzi che non sono riusciti a seguire le lezioni per via telematica perché non erano psicologicamente capaci di portare a frutto questo rapporto a distanza. La Chiesa dovrà riflettere parecchio e ci sono già molti che si interrogano ma non ci sono soluzioni pronte all’uso”.
Sara Gelli