“Noi, i lavoratori invisibili, schiacciati dalla crisi”

Riceviamo e pubblichiamo con piacere questa lettera poiché racchiude la storia di tanti. Quella dei dipendenti messi a dura prova da una crisi che l’emergenza sanitaria ha provocato o, in alcuni casi, soltanto acuito. Lavoratori sotto attacco, alla mercè di imprenditori tutt’altro che illuminati, impegnati a sbarcare il lunario nonostante ammortizzatori insufficienti e un sistema incapace di sostenere le famiglie.

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Vignetta di Mattia Miello

Buongiorno, mi chiamo Mario, o Giulia, Marco, Laura… scegliete voi.

Ho superato i 30 , vivo con la/il mia/o compagna/o e insieme abbiamo contratto un mutuo trentennale per comprarci un appartamentino dove creare la nostra famiglia.

Siamo fortunati, lavoriamo entrambi in una media azienda della zona, pure il settore decidetelo voi: tessile, metalmeccanica, ceramica… quello che volete.

Il 9 di marzo siamo venuti a sapere dell’imminente lockdown dalla TV come tutti voi.

Dopo una veloce chiamata con i caporeparto delle rispettive aziende ci è stato detto che avremmo lavorato sicuramente fino a fine settimana per chiudere gli ultimi ordini e poi “vedremo”.

La settimana corre veloce, non ci sono mascherine e non ci sono disinfettanti ma c’è solo da finire la settimana, ci diciamo.

Venerdì il mio caporeparto ci dice che forse si continua a lavorare, il titolare ha trovato un qualche escamotage recuperando un vecchio cliente nella giusta filiera Ateco.

Lunedì sono di nuovo a lavorare, sempre senza mascherina e senza disinfettante, le distanze non sempre sono mantenute, l’azienda non è poi così grande… il/la mia compagna/o invece è in una filiera ritenuta essenziale e la sua azienda non si ferma, meglio così, ci diciamo anche se la paura è tanta.

I giorni corrono via tra notizie terribili ai Tg e capireparto che ci invitano alla calma, a stare tranquilli che tanto “ora organizziamo bene i turni, qualcuno lavorerà da casa…” e via dicendo, le mascherine non si trovano e pure i disinfettati scarseggiano.

Arriva il fine mese e inizio a essere preoccupata/o, il mio contratto è in scadenza e il titolare continua a fare il vago.

Un giorno prima della scadenza mi dice che sono brava/o, che mi impegno, che non vorrebbe ma… c’è la crisi. C’è la crisi e non può rinnovarmi il contratto. Se ne riparla certamente quando tutta questa storia sarà finita.

A fine estate, fine anno, non si sa.

L’azienda terrà comunque aperto, il titolare ha mandato una lettera al prefetto e fino a ordine contrario si continua (o meglio, continueranno, loro) così “i tedeschi non ci rubano gli ordini” e che quindi, posso stare tranquilla/o, mi richiameranno un domani, forse, sicuramente, a crisi finita.

In famiglia abbiamo ancora un altro stipendio ma mi attivo subito per richiedere la disoccupazione.

Per farlo, serve un Pin Inps che io non ho, faccio richiesta e attendo.

Nel mentre nell’azienda della/del mia/mio compagna/o si continua a lavorare, i disinfettanti sono arrivati ed è arrivata qualche mascherina. Ai Tg le notizie sono sempre più gravi.

Passano le settimane e io continuo ad attendere il Pin Inps per far richiesta di disoccupazione.

L’azienda della/del mia/mio compagna/o è in una filiera essenziale ma, dicono i capi, non c’è abbastanza lavoro per lavorare tutti, si dovrà fare un po’ di cassa integrazione fino a quando non sarà finita questa storia.

L’azienda è sana ma davvero non se la sentono di anticipare i costi della cassa integrazione, ci penserà l’Inps. Delegati sindacali in azienda non ci sono, non ne abbiamo mai avuto bisogno. L’azienda prende queste decisioni in autonomia, senza consultare i dipendenti, è così e basta.

Chiamiamo il sindacato per avere chiarimenti, ci dicono che l’Inps paga la cassa integrazione con ritardi medi di 60 o 90 giorni, di avere pazienza.

Nei giorni successivi il caporeparto richiama, ci sarebbe da fare qualche ora di lavoro senza timbrare il cartellino. Lo sanno che è una richiesta non corretta ma… c’è la crisi e altrimenti “i francesi ci rubano gli ordini”.

Così stiamo andando avanti, in attesa di un Pin Inps che non arriva, di una disoccupazione che non arriva, di una cassa integrazione che non arriva e di comportamenti non corretti ma… c’è crisi, come ormai ininterrottamente da 20 anni.

La banca che comunque chiede i soldi del mutuo, le bollette che comunque van pagate, la spesa che va comunque fatta.

Si aggiunge al dispiacere la consapevolezza che la nostra, come tante altre, è una goccia in un mare dove non fa più notizia.

La narrazione di questa crisi punta lo sguardo solo sugli imprenditori, i commercianti… nessuno che parli di noi, della nostra situazione o di situazioni ancor più gravi (si pensi alle famiglie nella nostra condizione ma con figli a carico, per esempio)

Siamo invisibili. Ammantati di un’aura leggendaria fatta di comodità e agiatezza, di vita senza pensieri tutelati dallo Stato (a differenza di chi fa impresa, dicono)

Una vita in cui non bisogna lamentarsi mai, che c’è crisi ed è già tanto avere un lavoro (il più delle volte sottopagato e precario) o un sussidio (il più delle volte inadeguato).

O peggio ancora, siamo in una zona grigia che appunto, non fa più notizia.

Così va il mondo e c’è poco da fare, inutile parlarne oltre.

Speriamo abbiate la forza di pubblicare la nostra lettera e di dare un minimo voce alla nostra situazione, abbiate la forza di inserire anche queste notizie in una narrazione ormai monocolore.

Cordiali Saluti

Mario, o Giulia, Marco, Laura