Non ce l’ha fatta la carpigiana Carla Ferrari, se n’è andata il 15 aprile lasciando un grande vuoto intorno a sè. Aveva 83 anni, una vita, la sua, spesa a fare la sarta della Carpi bene, negli anni d’oro, in via Tiradora (via XX settembre) in pieno centro storico. “Mia madre e mio padre – ricorda Arnaldo Sacchi – furono gli ideatori della Sagra della Tiradora, erano molto amati in città. Mia madre era una potenza della natura. Una pantera. Una donna attiva. Straordinaria. Mai doma”. A portarsela via è stata una polmonite. “Tampone negativo al covid 19 – spiega suo figlio – ma chi può dire se è davvero così”. Il calvario della signora Carla è iniziato tre anni fa dopo un’operazione all’anca: “quando è tornata a casa ci siamo subito accorti che qualcosa non andava. Dimenticava le cose e col tempo è diventata pericolosa per se stessa. Le visite geriatriche che sono seguite hanno evidenziato come l’anestesia generale avesse provocato un danno degenerativo al suo cervello e, lo scorso anno, dopo la morte del mio padrino, ci siamo dovuti arrendere all’evidenza, due badanti non bastavano più. Non poteva più stare sola nella corte di campagna che possediamo nel mantovano”. Poco prima del Natale 2019 la signora Carla è entrata in una piccola struttura privata per anziani di Gonzaga. Poi a Pasqua è iniziato l’incubo: “a causa dell’emergenza coronavirus e della conseguente chiusura delle case residenza anziani ai famigliari, ho visto mia madre l’ultima volta all’inizio di marzo – prosegue Arnaldo Sacchi – era presente e si è commossa nel vedere me e mia zia. Poi, il giorno di Pasqua, mi hanno chiamato per comunicarmi che mia madre aveva la febbre e faticava a respirare, chiedendomi l’autorizzazione a trasferirla all’Ospedale Carlo Poma di Mantova. Una lastra ha permesso di accertare una polmonite bilaterale ed è stata ricoverata in un reparto covid. Alla sera ci hanno richiamati per dirci che nostra madre si era aggravata e che aveva perso conoscenza. Dopo due giorni a fronte dell’esito negativo del tampone al coronavirus è stata trasferita in un’area dedicata alle Cure Palliative”. Nonostante le numerose richieste, ai famigliari della signora Carla viene negata la possibilità di farle visita: “quando ci hanno richiamati per dirci che nostra madre non sarebbe vissuta fino al giorno seguente abbiamo pregato il medico di poterla vedere almeno un’ultima volta. Lo hanno concesso a un solo famigliare e per un’ora soltanto. Al suo capezzale è andato mio fratello Gianni, ma lei era incosciente. Ci aveva già lasciati. Era diabetica e aveva numerosi problemi di salute ma di cosa sia morta davvero nessuno lo sa”, ammette amaramente Arnaldo. E dopo la morte si è consumato l’altro dramma, ovvero l’impossibilità di organizzare un commiato dignitoso: “nessuno l’ha potuta salutare degnamente. Niente camera ardente, niente funerale… Sarà cremata e poi più nulla. Nessun ricordo. Solo un numero, una casistica. E cenere. Non essere potuti stare con lei nel momento della morte e dopo – racconta il figlio – è qualcosa di disumano. Questo virus che uccide vecchi e malati è troppo selettivo per essere naturale. Una carneficina che si tradurrà in un bel risparmio…”. In questo terribile momento gli “anziani sono come dei deportati. Rinchiusi nelle case di cura, di loro non sai pressoché più nulla. Non puoi vederli, non sai cosa accade all’interno… fino a quando ti arriva una telefonata per avvertirti della loro morte. Nessuno ha fatto nulla per evitare che gli ospedali e le case protette diventassero dei mattatoi. E’ scandaloso. Inaccettabile. Io ho fiducia della struttura nella quale era ospitata mia madre, lì non si sono registrati contagi, ma chi può saperlo davvero?”.
Jessica Bianchi