Carcere in rivolta ma i problemi sono quelli di sempre

“Un agente è costretto a sorvegliare settanta ma anche ottanta detenuti che sono liberi perché le stanze sono aperte ormai da anni e i detenuti girano liberamente per cui è molto facile impadronirsi del carcere. Non c’è più un sistema di sicurezza che funzioni” sottolinea Giovanni Battista Durante, segretario generale del Sappe, sindacato di polizia penitenziaria.

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Dagli Anni ’70 in Italia non si verificava una situazione così grave che da Modena si è estesa ad altri istituti di tutta Italia. Sono nove i detenuti morti per abuso di farmaci: questo il bilancio della rivolta nel penitenziario di Modena con tanto di assalto alla farmacia interna, tra medicinali vari e metadone. Se il sistema penitenziario non è imploso è solamente grazie alle donne e agli uomini della Polizia penitenziaria che, coadiuvati dai colleghi delle altre forze di Polizia e Forze armate, hanno fronteggiato per quanto possibile la protesta violenta.
“Sono quelle situazioni – spiega Giovanni Battista Durante, segretario generale del Sappe, sindacato di polizia penitenziaria – in cui non sai mai come potrà finire perché i detenuti per un lungo periodo sono stati assolutamente padroni del carcere all’interno delle sezioni detentive, quindi potevano essersi armati di armi improprie per cui il personale che è entrato ha corso sicuramente dei grossi rischi così come li ha corsi quel personale che, quando è iniziata la rivolta, si trovava all’interno del carcere. Un agente è costretto a sorvegliare settanta ma anche ottanta detenuti che sono completamente liberi perché le stanze sono aperte ormai da anni e i detenuti girano liberamente per cui è molto facile impadronirsi del carcere. Non c’è più un sistema di sicurezza che funzioni, siamo molto al di sotto dei livelli minimi e questa è una grande responsabilità della politica e dell’amministrazione di questi ultimi anni”.
La scelta della vigilanza dinamica ha contribuito a rendere le carceri un colabrodo in termini di sicurezza con celle aperte più ore al giorno e una minore presenza di agenti nelle sezioni detentive con detenuti liberi di girare senza essere impegnati in alcuna attività. Per i sindacati di polizia penitenziaria, a fronte dell’impennata di eventi critici, aggressioni, risse, rivolte, va sospesa e gli agenti incrementati per riattivare anche il servizio di sentinelle sulle mura di cinta dotandoli di strumenti utili al mantenimento dell’ordine e della sicurezza interna, come i body scanner e la totale schermatura all’uso dei telefoni cellulari.
“Secondo me – conclude Durante – è anche sbagliato in certi frangenti andare a soffiare sul fuoco. Mi spiego. Chiedere l’amnistia o l’indulto, pochi giorni fa, in piena emergenza coronavirus è un fatto poco responsabile perché può innescare meccanismi pericolosi. Non voglio mettere in relazione le due cose ma credo che non sia stato corretto”. Lo spostamento delle visite dei familiari a causa del coronavirus può creare malcontento ma mai scatenare quelle scene di inaudita violenza.
Intanto sono in corso indagini per capire da chi sia arrivato “l’ordine” di far scattare le rivolte all’interno delle carceri negli ultimi giorni. E’ quanto emerge da fonti giudiziarie, che puntano anche a verificare un’eventuale “regia occulta” dietro l’organizzazione delle proteste fomentate tra i detenuti negli istituti penitenziari. Le indagini, a 360 gradi, al momento non escludono legami con “organizzazioni” esterne al carcere.
Sara Gelli

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