Giovani a rischio radicalizzazione

Con il progetto Yeip “abbiamo indagato le ragioni che possono portare i ragazzi a radicalizzarsi cercando di capire cosa si può fare in un’ottica di prevenzione” spiega Licia Boccaletti della cooperativa sociale Anziani e Non Solo di Carpi.

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Licia Boccaletti

Fino a oggi, la prevenzione e il controllo della radicalizzazione a livello europeo sono stati gestiti prevalentemente dai governi nazionali e locali attraverso politiche e approcci perlopiù repressivi e investigativi con uno scarso coinvolgimento dei giovani, di norma considerati tra le categorie a maggior rischio rispetto a tale fenomeno. Con il progetto Yeip “abbiamo indagato le ragioni che possono portare i ragazzi a radicalizzarsi cercando di capire cosa si può fare in un’ottica di prevenzione” spiega Licia Boccaletti della Cooperativa sociale Anziani e Non Solo che ha condotto la ricerca in Italia per conto della Regione Liguria con la collaborazione del CRID – Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e vulnerabilità dell’Università di Modena e Reggio. Oltre all’Italia, il progetto Yeip, finanziato dall’Unione Europea ha coinvolto altri sei Paesi (Gran Bretagna, Grecia, Cipro, Romania, Portogallo e Svezia) affrontando il tema della prevenzione della radicalizzazione giovanile in diversi contesti, dall’online alle scuole, ai carceri minorili, per l’elaborazione di nuove politiche giovanili.

“Il progetto Yeip ha inteso il tema della radicalizzazione e dell’estremismo in modo ampio, includendo quello politico, ideologico e religioso anche se l’attenzione spesso tende a limitarsi al terrorismo di matrice jihadista” spiega Boccaletti. Dopo la prima fase di definizione dello stato dell’arte in merito al tema della radicalizzazione in Italia, è stata condotta la ricerca sul campo sondando, attraverso interviste e focus group, l’opinione di studenti tra i 16 e i 29 anni come previsto dalla metodologia Youth-led che prevede il coinvolgimento attivo dei giovani, anche come co-ricercatori, per tutta la durata del progetto.

“Alcune precedenti ricerche evidenziano l’età stessa dei giovani come fattore di rischio per la radicalizzazione, ma il nostro lavoro ha voluto concentrarsi sul raccogliere la percezione dei ragazzi su come si sviluppano percorsi di radicalizzazione e su quali azioni a loro parere si dovrebbe puntare per ridurre il rischio. In generale gli studenti pensano che la radicalizzazione consista in idee e comportamenti negativi indotti da altre persone e si verificano quando un individuo non è educato ad avere una mentalità aperta e in grado di accettare altri punti di vista”.

Tra le possibili cause elencano il bisogno di appartenere a qualcosa, l’influenza dell’educazione familiare, l’esclusione sociale, la scarsa fiducia in se stessi, la rabbia trasformata in odio, trattamenti ingiusti ed emarginazione. E identificano anche su cosa lavorare per contrastare radicalizzazione ed estremismo: identità e appartenenza alla comunità (per gli studenti intervistati “essere italiani” significa, perlopiù, essere nati in Italia, conoscere la lingua, la storia e le tradizioni del nostro Paese, e avere modi di vivere, valori e mentalità italiani); non sentirsi trattati ingiustamente perché genera frustrazione; essere ascoltati dagli adulti e coinvolti. “Da ciò siamo partiti per elaborare gli strumenti di prevenzione – spiega Boccaletti – che saranno a disposizione delle scuole della Liguria ma non solo, costruendo un modello formativo che abbiamo sperimentato con insegnanti e operatori, nei servizi extrascolastici e nelle parrocchie affinché gli adulti con un ruolo educativo riempiendo il vuoto di conoscenza relativa non solo al presente ma anche al passato come monito per il futuro, insegnino l’ascolto e il confronto, stimolando un pensiero critico per rafforzare la personalità dei giovani, dando loro l’opportunità di fare cose significative. Si tratta di raccomandazioni che possono ispirare le politiche giovanili degli enti e quelle scolastiche.

A distanza di tempo, gli studenti, i cui docenti avevano frequentato il nostro percorso formativo, ci hanno dato la misura del cambiamento percepito come positivo”.

Sara Gelli