Si allarga il disagio giovanile a Carpi. Ma chi sono questi ragazzi e cosa si cela dietro alle loro azioni? A tentare di leggere il fenomeno è la psicologa carpigiana Sandra Frigerio.
“I modelli aggressivi forniti dagli adulti, ripresi continuamente da telegiornali, film e serie televisive, hanno abbassato il livello di percezione dell’illecito e del rischio nei giovani. A questo si aggiunge la dilagante insoddisfazione della società, la banalizzazione dei disagi emotivi e un’insana accettazione condivisa di espressività aggressiva. Molti luoghi di lavoro o sociali sono caratterizzati da forme comunicative aggressive, come se la rabbia fosse un requisito sempre concesso. E’ un’emozione innata che utilizziamo per difenderci dalle ingiustizie, ma che oggi diventa una delle forme comunicative e relazionali più utilizzate. Sempre più vi è un’incapacità di gestione della rabbia. Basti pensare alla sempre più diffusione del bullismo a scuola e cyberbullismo in rete, o il fenomeno di mobbing sul lavoro. La delinquenza minorile esprime il bisogno di trasgredire per assumere un’identità all’interno della società.
Alcuni giovani hanno l’intenzione di emulare i crimini commessi dagli adulti per arrivare al desiderio di andare contro le regole”.
Tale disagio ha sempre contraddistinto l’adolescenza o tale fenomeno si è acuito?
“Gli adolescenti tendono spontaneamente ad aggregarsi con coetanei con cui condividono caratteristiche simili: età, scuola, attività ricreative, interessi… L’adolescenza è un momento delicato, durante il quale si ricercano modelli di riferimento per costruisce una nuova identità, anche totalmente diversa dalla precedente, e che può diventare difficile in presenza di particolari condizioni familiari e/o personali. Può capitare che l’esigenza di sentirsi parte di un gruppo, rafforzata dalla necessità di affermarsi ed essere accettati in un modo o nell’altro a livello sociale, induca l’adolescente a identificare il proprio gruppo dei pari in aggregazioni di giovani criminali, accomunati dal desiderio di essere rispettati dalla società, di trasgredire e di sentirsi invincibili”.
Il disagio aumenta in figli di famiglie “difficili” oppure le due cose non sono correlate?
“Non sempre le due cose sono correlate, anche se una delle cause più frequenti che spingono i ragazzi a commettere reati è legata alle difficoltà economiche familiari, a status di povertà che limitano e talvolta isolano ed emarginano. Più frequentemente chi vive situazioni svantaggiate è più portato a delinquere a causa della difficoltà di essere accettato dalla società. I giovani, protagonisti di questi comportamenti possono essere soggetti problematici, provenienti da contesti e situazioni sociali disagiate, ma anche giovani di buona famiglia, benestanti, che scelgono la microcriminalità come espressione di identità. La causa principale per la quale si rileva un crescente disagio generazionale e, di conseguenza, un aumento della criminalità, è identificabile in situazioni familiari problematiche, nelle quali si verificano eventi traumatici come ad esempio divorzi, separazioni, lutti, violenze domestiche o abusi. In linea generale la famiglia rappresenta la principale forza creatrice di figli devianti: la disattenzione dei genitori, distratti da una sempre più frenetica società, un controllo asfissiante o troppo serrato, un permissivismo eccessivo, possono provocare reazioni violente e di ribellione, all’interno dell’ambiente domestico o all’esterno”.
Aumentano i casi di ragazzi che sfidano la sorte camminando sui binari o straiandosi in prossimità di incroci: come legge questi tipi di comportamento?
“Spesso si tratta di comportamenti impulsivi, ma la maggior parte delle volte sono condotte ricercate intenzionalmente, per sperimentare adrenalina e sensazioni forti. I ragazzi conoscono i rischi ed è proprio la consapevolezza di potersi far male o di vincere sulla morte che fa vivere quel momento transitorio di onnipotenza. Durante la fase adolescenziale non si è ancora sviluppata pienamente la corteccia prefrontale, ovvero quell’area del cervello deputata a numerose funzioni cognitive come pianificare e prendere decisioni, valutare le conseguenze delle proprie azioni e inibire gli atteggiamenti inappropriati. Non bisogna sottovalutare, inoltre, l’effetto del gruppo che svolge un ruolo fondamentale nella messa in atto di queste condotte. A questo si aggiunge la potenza del web che in modo amplificato e rapido permette a questi giovani di partecipare a giochi o sfide estreme, spesso lanciati e diffusi proprio sul web, senza tener conto delle conseguenze, potenzialmente anche letali. Il tutto viene prontamente ripreso e immortalato dalla fotocamera del proprio smartphone con foto o video da pubblicare sui social network e condividere online o via chat. Le chiamano “challenge” cioè “sfide”, le vivono come giochi, con l’obiettivo di trasgredire, di far salire l’adrenalina, di rinforzare il ruolo all’interno del gruppo, dimostrando a se stessi e agli altri il proprio coraggio”.
Qual è il ruolo della comunità educante?
“E’ fondamentale il ruolo delle famiglie, il cui compito è innanzitutto quello di educare, includendo elementi di dialogo, comprensione, ascolto attivo, severità, se necessaria, e rigore. E’ necessario che i genitori siano attenti, presenti e disponibili. La scuola dovrebbe configurarsi come luogo di confronto e sinergia tra figure educative e famiglie. La necessità sociale dei nostri tempi riguarda una società sempre più popolata da figure diverse che rendono impossibile la decifrazione di un modello unico di individui, creando una combinazione di stili diversi spesso contradditori fra di loro, che come risultato finale determinano identità confuse. Il dialogo, il confronto e l’ascolto devono essere alla base di una comunità educante, per fornire una guida chiara e sicura a queste identità confuse e deboli”.
Jessica Bianchi