Dalle molestie sul lavoro allo stupro, alle prevaricazioni perpetrate dagli uomini tra le mura domestiche… il cinema ha più volte affrontato il tema della violenza sulle donne. Spaccati di realtà resi ancor più potenti e crudi dalla forza intrinseca del mezzo cinematografico. “Impossibile non riconoscere come, la costruzione delle nostre idee su tale delicato tema siano state influenzate dalle narrazioni offerte nel corso del tempo dal cinema, dalla letteratura, dalla pubblicità e dalla televisione”, spiega il critico cinematografico carpigiano Dario D’Incerti. Vero e proprio sistema di informazione di massa, il cinema, “per oltre un secolo ha segnato la nostra storia e per anni ha rappresentato una delle armi più potenti ed efficaci di propaganda e di informazione, influenzando così la rappresentazione della realtà. D’altronde – prosegue D’Incerti – il cinema è uno dei luoghi di transito per antonomasia dei significati sociali”.
Il racconto della violenza è stato al centro di numerose pellicole a partire dal cinema muto, tra queste, “vorrei ricordare Giglio infranto di D.W.Griffith (1919). Il primo film a raccontare una vicenda di violenze e soprusi di un padre sulla figlia in una spirale crescente di maltrattamenti che porterà l’uomo a ucciderla. Un racconto brutale, costruito ad arte, teso a traumatizzare il pubblico. A spiazzarlo”. Un altro capolavoro del cinema muto è Aurora di Friedrich Wilhelm Murnau (1927): “sedotto da una donna di città, simbolo di depravazione e perdizione, un giovane contadino tenta di uccidere la moglie per fuggire con l’altra ed essere libero. Pentito, non riuscirà a portare a termine il suo piano. La scena del tentato omicidio è particolarmente emblematica: la costruzione drammaturgia è straordinaria. Lo spettatore vede una massa nera incombere su questa donna esile, fragile, vestita di chiaro… Simboli rafforzati dai meccanismi cinematografici che ancora oggi rappresentano una grammatica ricorrente”, spiega Dario D’Incerti.
Ma il grande schermo non si è limitato a mostrare la violenza più efferata bensì “quella sottile forma di disprezzo e di sottovalutazione che, spesso, gli uomini nutrono nei confronti delle donne, al lavoro come in famiglia, e che generalmente non si concretizza in gesti estremi”. La figura della segretaria nel cinema ne è un esempio eclatante: “donne avvenenti, maggiorate, che nell’immaginario maschile devono essere alla mercé del capo. Uno, due, tre! (One, Two, Three), film del 1961, diretto da Billy Wilder, ha fatto scuola”.
Una mancanza di rispetto e di valorizzazione della figura femminile che, purtroppo, sopravvive anche tra le mura domestiche. Paradigmatici i due film Thelma & Louise, film del 1991 diretto da Ridley Scott e Caterina va in città di Paolo Virzì del 2003. “In entrambe le pellicole – spiega Dario D’Incerti – i partner delle protagoniste le sminuiscono, relegandole a un ruolo di mera cura e spingendole così, loro malgrado, a cercare, con fatica, di ritagliarsi spazi di libertà personale. Una emancipazione e un’autonomia che, come nel caso di Thelma & Louise, possono portare al più drammatico degli epiloghi. I film poi hanno una scena comune, il rifiuto del cibo offerto dalla moglie da parte dei due mariti. Un rigetto e una negazione che rimandano a qualcosa di ben più profondo e oscuro”.
Una cosa è certa, oggi sono sempre più numerose le donne registe e produttrici ma gli uomini sono in netta maggioranza ed è a loro che viene perlopiù affidato il compito di raccontare il genere femminile. Una narrazione a cui, probabilmente, solo noi donne saremmo in grado di aggiungere nuove e insolite sfumature. Aldilà degli stereotipi e dei volti pestati di donne massacrate dai propri compagni, di cui si nutrono ancor oggi il piccolo e grande schermo.
Jessica Bianchi