‘Ndrangheta, la malapianta

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In Emilia Romagna, l’elevata propensione imprenditoriale del tessuto economico regionale è uno dei fattori che catalizza gli interessi della criminalità organizzata anche ai fini del riciclaggio e del reinvestimento in attività economiche dei profitti illeciti. Tra le mafie nazionali, la ‘ndrangheta ha adottato, anche in questa regione, un approccio marcatamente imprenditoriale, prediligendo, tra le proprie direttici operative, l’infiltrazione sia del tessuto economico produttivo sia delle amministrazioni locali, aggredendo il territorio, non attraverso il predominio militare, ma orientandosi alla corruttela e alla ricerca delle connivenze, funzionali ad una rapida acquisizione di risorse e posizioni di privilegio. Tale modello operativo si è agevolmente prestato a consolidare un “sistema integrato” di imprese, appalti ed affari, che ha creato un efficace humus con il quale avviare le attività di riciclaggio e di reinvestimento di capitali. È quanto emerso, da ultimo, nell’ambito dell’inchiesta “Aemilia”.

La Commissione parlamentare antimafia, nella sua prima uscita ufficiale, non a caso è venuta a Bologna, Reggio Emilia e Modena per una serie di audizioni per fare il punto della situazione della presenza della mafia, in particolare l’ndrangheta, dopo l’inchiesta e il processo Aemilia.

Si è avuta quindi la conferma, ulteriore, che le mafie non sono solo al sud, ma sono radicate anche qui nel nostro territorio.

Le mafie, abbandonate lupara e coppola, si sono infiltrate nella cosiddetta economia legale da protagoniste. L’Emilia, se da una parte ha dimostrato di avere anticorpi sociali ha però confermato come siano caduti gli anticorpi economici. Dall’inchiesta Aemilia è emerso che nessun ‘ndranghetista ha bussato alla porta di un imprenditore emiliano, ma che sono stati gli imprenditori (non tutti evidentemente) ad andare a cercare i soldi delle mafie.

Nessun fenomeno criminale, anche quello più modesto, può essere contrastato solo dalla polizia, dai carabinieri e dalla magistratura ed è quindi necessario che tutta la società civile faccia fronte comune, massa critica, per arginare la sempre più pervasiva presenza delle mafie nelle economie cosiddette legali.

Ma questo appare difficile se si prende in considerazione un indagine commissionata da Libera dove si legge che la mafia in Italia è sottovalutata; per 6 persone intervistate su 10 non è più un pericolo; solo una piccola percentuale, intorno all’8%, ritiene che la mafia sia presente anche al nord; mentre il 52% delle persone ritengono la mafia un fenomeno marginale e non socialmente pericoloso.

Quindi il processo Aemilia è si un punto di arrivo importante, ma è anche un punto di partenza perché la criminalità organizzata non è sempre uguale a se stessa e si modifica in base alle necessità.

La criminalità che è nata e ha portato al processo Aemilia oggi è presente, ma con modalità diverse. Quindi deve sempre essere più sofisticato l'approccio ai segnali che possono consentire alle forze dell'ordine e alla magistratura, ma anche alle altre istituzioni dello Stato, di intercettare tutte quelle situazioni che possono portare all'individuazione dell'infiltrazione della criminalità.

Anni fa quando il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e il professore Antonio Nicaso lanciavano l'allarme sul radicamento ‘ndranghetistico in Emilia per poco non venivano insultati e aggrediti verbalmente da politici e associazioni d'impresa dell'Emilia Romagna. Oggi tutti stanno vedendo cosa accade al Nord con arresti praticamente ogni giorno e ne sono conferma anche le ultime inchieste della Guardia di Finanza a Verona dove è emerso che tre condannati nel processo Aemilia facevano parte di una frode fiscale da 10 milioni di euro.

Per troppo tempo si è detto che l'Emilia e il Nord avevano gli 'anticorpi', anticorpi in realtà assenti o molto poco ricettivi.

A Modena le problematiche maggiori sono state evidenziate in settori come quello della lavorazione delle carni, ma il territorio modenese ha una storia che parla di radicamento del clan dei casalesi e più di recente della 'ndrangheta".

Nel modenese particolarmente pervasiva è la cosca cutrese di Grande Aracri. Nella nostra provincia, completando la mappatura delle consorterie criminali calabresi si segnalano i Piromalli della Piana di Gioia Tauro (RC).

Soggetti contigui alla cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto (KR) avrebbero operato a Modena e sono state tracciate presenze di elementi vicini alla ‘ndrina di Taurianova e di San Lorenzo.

Anche la presenza della camorra risulta connessa all’infiltrazione nell’economia legale e al riciclaggio di capitali. In particolare, i monitoraggi delle attività imprenditoriali, propedeutici all’emissione delle interdittive antimafia o dell’iscrizione nelle c.d. white list, hanno evidenziato infiltrazioni della camorra nel settore degli appalti pubblici, attraverso l’adozione di metodologie orientate a dissimulare gli interessi mafiosi. La mediazione di imprenditori compiacenti per avviare investimenti fuori regione e aggiudicarsi le gare di appalto di opere pubbliche è risultata, infatti, un modus operandi ricorrente principalmente per il cartello dei Casalesi segnalati come particolarmente attivi anche nella provincia di Modena.

Pierluigi Senatore