Uno specchietto per le allodole, così è stato definito da molti il via libera ad atterraggio e decollo notturno dell’elisoccorso a Carpi. Se l’intervento dell’elicottero, infatti, può rivelarsi indispensabile in territori impervi come quelli montani, nel nostro territorio le cose sono ben diverse. In caso di gravi incidenti stradali o di patologie tempo-dipendenti, ovvero qualora si renda necessario il trasporto negli ospedali hub, i tempi di percorrenza di un’ambulanza in sirena sono nettamente inferiori a quelli di un elicottero in partenza da Bologna: dovendo atterrare nella piazzola autorizzata in pista di atletica, infatti, necessita comunque di un mezzo di soccorso che gli porti i feriti. L’elicottero notturno, ha più volte ribadito l’Azienda Usl di Modena, “integra e non sostituisce i mezzi di soccorso via terra”. Parco mezzi che, nonostante l’introduzione di una seconda ambulanza infermieristica disponibile h24 e 7 giorni su 7 all’Ospedale Ramazzini di Carpi, in una città di oltre 70mila abitanti, dovrebbe prevedere un’automedica: mezzo di soccorso avanzato che potrebbe intervenire in modo tempestivo in caso di necessità (anche a fronte delle restrizioni sul fronte delle prestazioni e dei farmaci dispensabili, a partire dagli analgesici, a cui gli infermieri devono attenersi in ambulanza). In Provincia di Modena le automediche h24 sono 4, ma l’introduzione di tale mezzo a Carpi nelle intenzioni dell’Ausl resta un’utopia, “in ragione della garanzia già esistente di poter fornire una risposta adeguata nei tempi di percorrenza su ruota delle distanze tra l’area di Carpi e gli ospedali di riferimento”, è la giustificazione addotta. Peccato che il Decreto ministeriale 70 del 2015 relativo alle postazioni territoriali stabilisca come “La definizione del fabbisogno di mezzi di soccorso avanzati sul territorio regionale viene individuata utilizzando un criterio che si basa sulla attribuzione di un mezzo di soccorso avanzato ogni 60.000 abitanti”.
Inspiegabile come si preferisca alzare in volo un elisoccorso, dai costi peraltro elevatissimi, anziché investire sulle risorse umane, provvedendo a un rafforzamento di personale tra le fila dei medici del soccorso e introducendo così un’automedica anche nel bacino carpigiano a oggi scoperto. Circa la necessità di introdurre un mezzo avanzato di questo tipo in città si discute da anni. Il progetto più rilevante risale alla fine del 2005 quando alcuni esponenti di Croce Rossa e Croce Blu incontrarono i sindaci di Soliera e Carpi, rispettivamente Baruffi e Campedelli, per tentare di smuovere le acque, anche grazie al coinvolgimento della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, al tempo presieduta da Ferrari. In garage la Croce Rossa aveva già un’automedica pronta all’uso, acquistata grazie alla generosità di Gianpaolo Tarabini (ndr – ampiamente utilizzata durante l’emergenza legata al sisma del 2012) mentre una cooperativa di medici aveva realizzato un preventivo di spesa: 300mila euro in tre anni. Il progetto, sperimentale, prevedeva che Croce Rossa e Croce Blu ci mettessero i mezzi, il contributo erogato dalla Fondazione avrebbe coperto l’onorario dei medici, mentre l’Azienda sanitaria, dopo aver sancito una convenzione coi due sodalizi, avrebbe messo a disposizione del mezzo avanzato anche la figura dell’infermiere. Sulla carta era tutto pronto poi, però, qualcosa si inceppò. Chi si sarebbe accollato l’onere del pagamento dei medici allo scadere dei tre anni? Al secco no incassato da parte dell’Azienda, la Fondazione fece retromarcia e il progetto cadde nel dimenticatoio. Perfetto esempio di sinergia tra pubblico e privato – che tanto piace al direttore generale dell’Ausl, Massimo Annicchiarico – quell’idea merita di essere tirata fuori dal cassetto e rispolverata. I soggetti in campo potrebbero nuovamente sedersi intorno a un tavolo e aprire una discussione per il bene della cittadinanza, qualora l’Ausl non voglia introdurne una aziendale. Siamo in campagna elettorale, accanto al tema del nuovo ospedale, quello dell’automedica potrebbe trovare un posto nel programma dei candidati in campo.
Jessica Bianchi