Non chiamateci eroi

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“Non faccio nulla di speciale, il mio è un lavoro come tanti altri. Non c’è nulla di eroico nell’operare per una Ong in zone di guerra; quando non mi divertirà più e non mi sveglierò ogni mattina piena di stimoli ed entusiasmo, mi reinventerò. Un’altra volta. I cambiamenti non mi fanno paura”. A parlare è la carpigiana Chiara Lodi, 35 anni, infermiera di Medici senza Frontiere. Un’avventura, la sua, nata in punta di piedi, Quasi per caso. “Sono sempre stata un disastro a scuola. Un’irrequieta desiderosa di trovare un proprio spazio. Sempre a caccia di emozioni, di adrenalina. Conoscere luoghi e gente nuova è un imperativo per me che rifuggo la noia e la routine. A 17 anni, ho iniziato a fare volontariato presso la Croce Blu di Soliera e mi si è dischiuso un mondo. Una passione che, poco alla volta, mi ha fatto finalmente comprendere ciò che sarei voluta diventare: un’infermiera”. Dopo la laurea in Scienze Infermieristiche, il 2012 segna l’anno della svolta: “lavorare in città era diventato insostenibile e così ho deciso di partire per il Camerun insieme a un’organizzazione cattolica. Sono rimasta in Africa un anno. Un’esperienza che mi ha resa più forte e ha confermato che la scelta di vita che avevo fatto era esattamente ciò che volevo. In Camerun, lavorando a stretto contatto con persone di diverse nazionalità, ho imparato l’inglese, requisito fondamentale per entrare a far parte di Emergency e Medici Senza Frontiere, organizzazioni nelle quali sognavo di entrare a far parte”. Lasciata l’Africa, per perfezionare la lingua, Chiara vola in Inghilterra: “ci sono rimasta cinque anni, alternando il lavoro in ospedale alle lezioni universitarie, per specializzarmi in Medicina d’urgenza e in Tropical Medicine. A quel punto mi sono sentita pronta e mi sono lanciata. Non puoi immaginare la mia soddisfazione quando Emergency mi ha confermato che sarei partita per la mia prima missione. Una gioia indescrivibile”. Con l’associazione umanitaria fondata da Gino Strada, Chiara è stata in Iraq, Afghanistan e Repubblica Centrafricana: “lì, sul campo, ho compreso che la traumatologia di guerra era l’ambito che più desideravo conoscere e approfondire e che quella sarebbe diventata la mia strada. Con Emergency sono cresciuta ma sentivo nascere in me il desiderio di avere un maggior margine di autonomia e allora, dallo scorso anno, sono entrata in Medici senza Frontiere”. L’ennesimo salto nel buio, ma ci vuole ben altro per spaventare Chiara: “per anni sono stata una scout, un’esperienza che mi ha insegnato ad amare moltissimo la vita di comunità. Quando parti per una missione, condividi il medesimo spazio con altre 10 – 20 persone con storie ed esperienze incredibili alle spalle che ti riempiono il cuore. Poi c’è il lavoro. Operare in Paesi dove imperversa la guerra civile ti aiuta a essere reattiva e creativa. A gestire l’imprevisto: dalla mancanza di un farmaco all’interruzione della corrente elettrica. Essere parte di un’organizzazione come MSF mi consente di assecondare il mio desiderio di evasione e di novità, facendo però qualcosa di utile”. Dopo tre mesi passati ancora in Repubblica Centrafricana, Chiara è entrata nell’Emergency Pool, un team multidisciplinare di professionisti pronti a partire in caso di calamità naturali, guerre o attacchi terroristici: “vivi con la valigia in mano ma questo è il lavoro più bello del mondo. Quando si verifica un attentato, in un paese in conflitto, un ospedale è costretto ad accogliere più pazienti rispetto alla sua normale capienza ed è lì che si assiste a un vero e proprio miracolo. L’ospedale cambia assetto, muta completamente e, come in una macchina perfetta, tutti sanno esattamente cosa devono fare per poter accogliere i feriti e mettersi al lavoro. La prima volta che ho assistito a questa trasformazione ero a Kabul e mi sono innamorata. Lo so, sembra strano, ma quando operi in quelle condizioni, quando sei confinato perennemente tra il tuo alloggio e l’ospedale e non puoi nemmeno fare una passeggiata a causa del coprifuoco, comprendi l’importanza dell’organizzazione, del tempismo e dell’efficenza per poter fare la differenza”.
Turni massacranti e nottate in bianco sono all’ordine del giorno ma poco importa quando la motivazione è forte: “ormai – sorride Chiara – sono più brava a gestire 50 pazienti che a pagare l’assicurazione dell’auto”. Chiara, così come i suoi colleghi, si occupa perlopiù di gestione e formazione del personale locale: “il nostro obiettivo è quello di organizzare il lavoro, di renderlo il più efficace possibile. Ci si siede intorno a un tavolo e, insieme, si discutono le varie soluzioni a un problema. Ovviamente, se sei in Pronto Soccorso e c’è bisogno di una mano la dai ma lo scopo primario del nostro lavoro è quello di affiancare lo staff locale per ottimizzare le risorse, le procedure e l’approccio al paziente. Lavorare così, confrontandosi e scambiandosi opinioni, rappresenta una continua fonte di stimoli e arricchimento”. Dopo ogni missione all’estero, Chiara torna a Carpi, dalla sua famiglia: “io sono davvero fortunata, ho due genitori che mi hanno dato la possibilità di fare ciò che mi rende felice e non smetterò mai di ringraziarli per questo. D’altronde anche mia sorella, Alice è uno spirito libero. Di professione architetto, ha deciso, insieme al marito, di trasferirsi a Cape Town, in Sudafrica. Anche gli amici sono preziosi, pur facendo vite diverse, siamo uniti come quando eravamo ragazzini: siamo la solita, grande compagnia di sempre. Insomma, ogni volta che rientro, mi sento rassicurata. Carpi, eternamente uguale a se stessa, in qualche modo mi tranquillizza, mi riappacifica col mondo… forse chi rimane qui la pensa diversamente”, ride. Chiara, che da dicembre è fidanzata con Lorenzo, (“giri il mondo e poi ti innamori di un ragazzo conosciuto all’Oltrecafè”, scherza) per qualche giorno si godrà ancora la Corte dei Pio prima di volare nuovamente in Camerun. Verso la vita indomita che ha scelto.
Jessica Bianchi