Giù le mani dal verde, pubblico o privato che sia

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“La fauna selvatica è tutelata dalla legge: non possiamo distruggere un habitat senza sapere da chi è popolato.  Trattare la fauna in questo modo è immorale. Non si può barattare un ecosistema con degli arbusti piantati altrove, magari in un’aiuola o a ridosso di un lastricato. La natura impiega 20, 30 anni per creare fasce tampone: strisce verdi che, seppur piccole, costituiscono preziosi corridoi verdi dove gli animali trovano rifugio. Abbattere questi tasselli ricchi di biodiversità risponde a una totale mancanza di lungimiranza e di ignoranza. Disboscare per impiantare nuovo verde è sinonimo di un discutibile approccio consumistico. La natura non è un oggetto usa e getta da piegare a proprio piacimento a seconda delle necessità del momento”. Dura l’accusa di Daniela Rustichelli, delegata Lipu di Carpi, giunta dopo aver lottato strenuamente per salvaguardare i due boschetti adiacenti al lato ovest della Tangenziale Losi. Boschetti che, sorgendo in un’area privata destinata a diventare un nuovo polo commerciale, sono stati pressoché sacrificati per far posto al cemento (dei circa 2 ettari di bosco originario, infatti, non restano che poche macchie verdi del solo frutteto rinaturalizzato). Un caso che però ha spinto Lipu e le associazioni che compongono la Consulta Ambiente a unire le forze e ad alzare la voce per indurre l’Amministrazione Comunale a introdurre alcuni cambiamenti tesi a salvaguardare quel che resta del verde in città. Un patrimonio che esige di essere difeso e tutelato sin da ora, prima che spuntino altri progetti edificatori. “Consapevoli che la terra è la nostra casa e che è una nostra responsabilità etica conservarla per le generazioni future – spiega Daniela Rustichelli – abbiamo stilato una serie di proposte, poi consegnate ai nostri amministratori”. L’obiettivo? “Promuovere una diversa cultura legata al rispetto dell’ambiente e al trattamento del verde pubblico e privato”, aggiunge Mario Poltronieri, presidente della Consulta. Tra le linee guida spicca quella di realizzare un “Piano Regolatore del verde sia pubblico che privato, con tanto di censimento delle piante e la predisposizione di un regolamento di tutela e monitoraggio dell’esistente. Una vera e propria mappa di tutto il verde del territorio comunale, in particolare delle aree naturali e rinaturalizzate, con inserimento di corridoi e reti ecologiche”. Tra i punti chiavi del protocollo vi è poi la stesura di un “regolamento apposito per tutelare il verde privato esistente, che non consenta abbattimenti di alberi ad alto fusto e siepi mature se non per conclamata necessità e previa autorizzazione. Quel che dev’essere chiaro – spiegano i due ambientalisti – è che il verde non può in alcun modo essere monetizzato sia in aree di nuovi insediamenti, sia in caso di ristrutturazioni dell’esistente. Il verde rimasto è intoccabile e dev’essere messo in rete. Ogni corridoio ecologico in cui trovano rifugio uccelli e animali non può essere distrutto come se nulla fosse pertanto, ogni qual volta in Comune venga presentato un nuovo Piano particolareggiato che intacca tali aree, sarà necessario richiedere una perizia a professionisti esperti in ecologia e ambiente naturale e, allo stesso tempo, prima dell’avvio delle procedure per le autorizzazioni all’esecuzione di nuovi progetti, l’Amministrazione dovrà avvertire le associazioni ambientaliste e chiedere loro un parere”. Associazioni che rivendicano un ruolo più “diretto e incisivo nella consultazione e partecipazione diretta quando si tratta di autorizzare la modifica del territorio”, sottolinea Rustichelli.  In caso contrario, domanda provocatoriamente Poltronieri, “che senso ha la Consulta? Non confrontarsi e non dare spazio a noi volontari è un segno di incapacità politica”.
“Il Comune sappia – gli fa eco la delegata della Lipu – che le associazioni ci sono e che può contare sulla presenza di volontari preparati per la gestione condivisa delle aree naturali o rinaturalizzate, la cui conservazione deve diventare un imperativo e un obbligo per tutti noi”.
Nel protocollo non poteva poi mancare, come stoccata conclusiva, un riferimento al Piano Regolatore Generale del 2000, del quale le associazioni chiedono una urgente “revisione per fermare il consumo di suolo, riducendo a zero la percentuale di terreno edificabile, preservando la destinazione agricola nei terreni più fertili del territorio e mettendo in evidenza, ai fini della tutela, aree boschive, zone umide, prati stabili e corridoi ecologici”.
Una richiesta di non poco conto se si guarda ai numeri: il residuo delle aree di espansione a destinazione residenziale  (ovvero il costruibile) ammonta a 442mila mq e rappresenta il 40% del totale previsto dal Piano mentre il residuo delle aree di espansione a destinazione produttiva è di 382mila mq, pari al 55% della previsione (dati tratti dal testo In-tessere legami territoriali – Strategie e prefigurazioni per un Piano d’Unione redatto dal Politecnico di Milano).
Il che, tradotto, significa che in città si potrebbe costruire ancora. E molto. Certo Carpi deve crescere ma non certo dal punto di vista edificatorio.
Jessica Bianchi

 

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