L’olio di palma fa malissimo; le banane e le arance brasiliane sono infettate col virus dell’Hiv; Parmalat ha comprato del latte cinese; la Barilla è in realtà un’azienda americana; il glifosfato è una delle sostanze più nocive in commercio; i soldi dei terremotati sono spariti; la Xilella non esiste, è un complotto ordito per rimpiazzare gli ulivi pugliesi con quelli israeliani; gli immigrati ricevono 35 euro al giorno. Tutte queste affermazioni hanno alcuni elementi in comune: sono false e in tantissimi le hanno lette, si sono indignati e le hanno condivise. Ma questi sono soltanto alcuni esempi delle migliaia di bufale che, ogni mese, si diffondono viralmente – come virus, è proprio il caso di dirlo – in Rete. Dell’argomento, quanto mai attuale, in grado di influenzare elezioni, far crollare governi, causare ondate di panico e rovinare aziende importanti insieme a centinaia di lavoratori ha parlato Michelangelo Coltelli, fondatore di Butac.it, sito di denuncia delle fake news, invitato a Carpi domenica scorsa nell’ambito del Festival Digitale. “La comunicazione è cambiata completamente rispetto al recente passato – ha spiegato – perché se prima la direzione era dall’alto verso il basso, con poche fonti autorevoli, ora le notizie si originano al contrario, con i media che corrono a riprendere, con scarso o nullo controllo dell’attendibilità delle fonti, ciò che viene messo in circolazione dal basso”. I social network, vero motore della rivoluzione copernicana in atto, hanno portato una tendenza all’uniformità e la formazione di camere d’eco dove persone che la pensano allo stesso modo non fanno altro che riconfermare continuamente i propri giudizi e le proprie visioni del mondo. Altra caratteristica tipica dei social, è quella che premia chi la spara più grossa: “più si alzano i toni, più si creano condivisioni. Inoltre ognuno di noi è vittima, in gradi diversi, del bias di conferma, che porta le perone a riconoscere come vere soltanto quelle notizie che confermano quanto già credono, muovendosi entro un ambito dalle loro informazioni acquisite”. Ancora, il fenomeno bilanciamento fittizio, per cui in un programma televisivo, per esempio, si invitano a dialogare di vaccini un medico specialista, riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale, da un lato, e un personaggio famoso ma senza alcuna preparazione in merito dall’altro, dando alle due opinioni un uguale peso che, in realtà, fuori dai salotti televisivi non potrebbero mai avere. “Ricordiamoci però – ha ammonito il fondatore di Butac.it – che non è la rete a essere colpevole, bensì noi che condividiamo e scegliamo di credere alle bufale. Non occorre varare nuove leggi per censurare i contenuti della Rete, perché le regole ci sono già e basterebbe farle rispettare. Chiunque proponga di mettere il bavaglio a Internet con la scusa delle fake news sta in realtà cercando di imbrogliarci. Questa battaglia va affrontata con l’educazione, l’alfabetizzazione digitale, l’impegno di ognuno di noi e la responsabilizzazione dei giornalisti che, troppo spesso, per pigrizia o fretta, si dimenticano di fare il proprio lavoro”.
Marcello Marchesini