“Mi hanno rubato tutti i miei sogni. E l’amore. Un amore grande, fatto di tante, piccole cose. Semplici. E così la fiducia in me stessa e negli altri è scomparsa. Vorrei ritrovare anche alcuni gesti perduti: la dolcezza di una mano che ti accarezza i capelli, il ricordo di una canzone… Tutto mi è stato portato via. Io mi fidavo, ma sentivo che qualcosa dentro di me si stava sporcando. Ero confusa, mi sentivo in colpa. Che ne sapevo io dell’amore? Cresci con la convinzione che l’amore sia buono, non ci sono cartelli che ti avvertono di stare attenta, né cani poliziotto che ti difendono. Le regole le scrive chi è più forte di te. E io, mi sentivo in colpa”. E’ con il corto Piccole cose di valore non quantificabile, scritto e diretto da Paolo Genovese, che il comandante della Compagnia dei Carabinieri di Carpi, Alessandro Iacovelli, inizia il suo intervento in occasione del convegno Dai fatti alle parole – Azioni e proposte per superare stereotipi e violenza di genere, voluto e organizzato dall’assessore alle Pari Opportunità del Comune di Carpi, Stefania Gasparini, lo scorso 24 marzo, nella Sala delle Vedute. Con una storia di violenza: quella di un padre che per anni abusa della figlia. Una giovane donna, quella tratteggiata nel cortometraggio mentre sporge denuncia a un attento brigadiere dei Carabinieri, che non ha nemmeno le parole per descriverne la brutalità. Una donna a cui è stato rubato il futuro. I sogni. La speranza. “Un linguaggio sibillino il suo, quello con cui ci dobbiamo confrontare ogni volta”, spiega il capitano Iacovelli. “Qualche mese fa, intorno alle due di notte, una signora ha chiamato il 112. Era terrorizzata: barricata nel bagno insieme alla sua bambina di tre anni, ci chiedeva aiuto. Dopo essere riusciti a metterle in salvo e aver arrestato il marito, arriva sempre lo stesso momento, quello in cui chiediamo a queste donne cosa sia accaduto. Le risposte sono simili: vaghe, tese a minimizzare gli abusi e i maltrattamenti subiti. Questa donna per dieci anni aveva subito ogni forma di violenza: ingiurie, pedinamenti, percosse, frustate… spesso veniva punita dal marito e costretta a dormire in giardino, legata. Non ho mai sentito dire: questa era la prima volta”. Ma allora perchè aspettare? Cosa frena le donne dal denunciare immediatamente i propri aguzzini? “La risposta è sempre la stessa: mi sentivo in colpa. La vittima – prosegue Iacovelli – si ritiene la causa, la miccia che fa scatenare la spirale di violenza. Lo scorso anno su tutto il territorio della Compagnia abbiamo trattato 250 casi di violenza di genere. Storie che si ripetono sempre seguendo il medesimo copione. C’è però un aspetto che mi ha colpito profondamente, ovvero l’atteggiamento di dissociazione da parte di numerosi uomini nei confronti delle donne che denunciano: ci vuole coraggio ad amare una donna che ha subito maltrattamenti e a starle vicino. Perché queste donne hanno un cuore e un temperamento forte. Sono disilluse ma pronte a ricominciare con l’aiuto di tutti. Non sono però più disposte a credere alle parole ma solo a quello che gli uomini che hanno accanto sono disposti a fare per loro”. La violenza di genere, vero e proprio “reato contro l’umanità”, come lo ha definito Francesca Puglisi, ex presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sul femminicidio nella scorsa legislatura, può essere sconfitta “partendo dall’educazione dei ragazzi al rispetto della libertà altrui”. La senatrice poi, rivolgendosi alle ragazze in sala, non usa mezzi termini: “studiate, trovate un impiego ed emancipatevi economicamente perché queste sono le pre condizioni per poter interrompere una relazione problematica”. Una violenza, quella agita dagli uomini, che nulla ha a che fare “con la perdita del controllo”, ha spiegato Paolo De Pascalis de Liberiamoci dalla violenza – Centro di accompagnamento al cambiamento per uomini (nato nel dicembre del 2011, il servizio ha avuto sinora in terapia 250 uomini, di cui l’80% non è più ricorso alla violenza), bensì “scelta per un obiettivo preciso. L’esercizio della violenza consente di raggiungere con immediatezza e facilità uno scopo. La violenza si usa perché funziona. E’ rassicurante pensare che la violenza sia legata a una malattia psichiatrica, a un raptus… in realtà non è così. La buona notizia è che così come si impara a comportarsi in modo violento, allo stesso modo, si possono apprendere comportamenti alternativi”.
Nel 2017, 130 donne del nostro territorio si sono rivolte al Centro anti violenza Vivere Donna, “quasi tutte italiane e perlopiù sposate”, spiega la presidente della onlus, avvocato Laica Montanari. “Donne dalla personalità completamente distrutta che rappresentano solo la punta dell’iceberg di un preoccupante sottobosco sommerso di violenza subita. Il timore delle maltrattate infatti è quello di non essere ascoltate, credute”. La violenza c’è. Esiste. Credere a queste donne è il primo passo per sconfiggerla. E “raccontarla nel giusto modo, senza cadere negli stereotipi”, conclude l’assessore Gasparini, è la sfida che gli organi di stampa devono raccogliere per difendere le vittime e chiamare le cose col giusto nome.
Jessica Bianchi