A Carpi la filiera dell’assistenza è incompleta

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Nel 2015 sono stati eseguiti 82 Trattamenti sanitari obbligatori e nei primi mesi del 2016, il trend resta costante. Un dato di per sé positivo, se consideriamo gli scossoni che ciascuno di noi subisce ogni giorno. Numeri che la dicono lunga anche sul buon lavoro messo in campo sinora dalle strutture deputate alla cura e all’assistenza dei più fragili: dal Diagnosi e cura al domicilio.
Una filiera che però, come ripetiamo da anni, è incompleta: a far pesare la sua mancanza, infatti, è una struttura cuscinetto tra l’ospedalizzazione in fase acuta e il reinserimento in famiglia. Da tempo in città tiene banco un acceso dibattito relativo alla fondamentale importanza di realizzare una Residenza a Trattamento Intensivo (Rti), istanza raccolta, dopo una saga pressoché infinita  di ritrattazioni e promesse vane, dall’Azienda Sanitaria di Modena, inizialmente decisa a sacrificare il Servizio di Diagnosi e Cura (SPdc). Dopo la battaglia messa in campo dai famigliari dei malati di Al di là del Muro, con l’appoggio – un po’ appannato – dell’Amministrazione Comunale, l’Ausl ha optato per salvare capre e cavoli. Le parti hanno sottoscritto un Protocollo d’intesa (firmato il 9 marzo scorso) per la realizzazione di 12 posti letto ripartiti tra Residenza e Diagnosi e Cura, attraverso l’allargamento del piano terra della Palazzina che oggi ospita lo stesso Spdc. Il progetto edilizio di ristrutturazione della palazzina è però top secret, impossibile averne una copia: “ci hanno fatto vedere delle slide – spiega Giorgio Cova, presidente di Al di là del Muro – ma nonostante le nostre ripetute richieste, l’azienda non ha voluto consegnarcelo. Durante l’incontro con la direzione generale numerosi interrogativi sono rimasti senza risposta, a partire da quanti letti saranno destinati alla residenza e quanti all’Spdc”. Sarà la sperimentazione dell’integrazione tra i due servizi (ndr dovrebbe iniziare nei primi mesi del 2017 all’interno dell’Ospedale Ramazzini  nei locali ex Avis) a dare tali risposte, continua a ripetere come un mantra l’Ausl.
Di questo progetto da 1 milione di euro non si sa nulla. Si parla di 12 posti letto (i quali verranno probabilmente ricavati cambiando destinazione d’uso ad alcuni locali già esistenti all’interno della palazzina, come la sala fumatori) ma nessuno si sbottona su come verranno suddivisi.  I rigidi criteri di accreditamento regionali, impongono che ogni spazio sia destinato a un uso specifico e vincolante e, di conseguenza, che vi sia una netta distinzione delle due strutture: là dove coesistono (ne sono un esempio Imola, Piacenza e Bologna) sono separate dal punto di vista edilizio, della dirigenza e del personale. Tale diktat rende quindi la sperimentazione tra le mura del Ramazzini particolarmente opinabile dal momento che i 4 posti letto dedicati all’Spdc e i 4 a Rti saranno un unicum. Cosa cambia rispetto alla situazione in cui già operano medici e operatori del Centro di salute mentale?  Dal territorio nessun utente potrà essere ricoverato in trattamento di residenza psichiatrica: un’assurdità. A occupare quei quattro posti letto saranno i Tso che dal regime di urgenza dell’Spdc passeranno alla residenza. L’attuale Diagnosi e Cura cittadino ha già 9 posti letto occupati da persone ricoverate in seguito a trattamenti sanitari obbligatori o volontariamente. Durante la sperimentazione i posti saranno otto: 4 per i Tso e 4 per i volontari.  
A carte pressoché invariate, come può essere giustificata una spesa di 1 milione di euro? Siamo al paradosso. Nel frattempo, la scorsa settimana, nei locali un tempo occupati dall’Avis qualcosa si sta muovendo, “il 10 ottobre abbiamo iniziato a vedere dei muratori. Il cantiere – spiega Cova – secondo la tabella di marcia dell’Ausl dovrebbe concludersi all’inizio del 2017 per dare poi avvio, a febbraio, dopo il trasferimento dei pazienti, alla ristrutturazione del piano terra della palazzina”. In questo scenario tutt’altro che trasparente, l’azienda rilancia l’appuntamento con la tradizionale Settimana della salute mentale: una serie di iniziative volte a sconfiggere lo stigma della malattia mentale, a sensibilizzare la cittadinanza e a dar voce ai più fragili. Una rassegna certamente meritoria che si svuota però di significato di fronte al silenzio e alla latitanza dell’azienda nel fornire risposte adeguate. Che senso ha parlare di promozione della salute quando a Carpi la filiera dell’assistenza necessaria per garantirla è incompleta? L’apertura verso l’esterno è fondamentale ma non può prescindere dai muri, dalle competenze e dalla professionalità di medici e operatori. Carpi merita mostre, momenti di approfondimento, convegni, proiezioni cinematografiche… ma, più di ogni altra cosa, di essere trattata alla pari di Modena, perché il compito di un dipartimento è quello di spartire equamente le risorse per tutti i cittadini.
Di una volontà dirigistica che centralizza a Modena ogni risorsa a discapito della periferia non sappiamo davvero che farcene. Che abbiano almeno il coraggio di ammetterlo. A chiare lettere.
Jessica Bianchi