“Ero a Roma in hotel e la scossa ha fatto tremare per centoquarantadue secondi la stanza in cui alloggiavo all’ottavo piano. Mi sono svegliato e sono rimasto a guardare attraverso la fessura delle tapparelle in attesa che il palazzo di fronte crollasse. Quando è finita ho chiamato Francesco, il mio collega, e gli ho detto: preparati perché ci chiamano”. La mattina del 24 agosto è arrivata la chiamata e la colonna mobile regionale di Protezione civile era pronta a partire nel pomeriggio. “Quando siamo arrivati alla sera sono immediatamente iniziati i rilievi per costruire il campo e già il giovedì mattina eravamo al lavoro” racconta il carpigiano Fabio Mora dell’Ausl di Modena, coordinatore della Centrale Operativa 118 Emilia Est mobilitato insieme ai colleghi Erika Moretti infermiera del ps/118 di Ferrara, Gabriele Marangon del ps/118 H di Delta Lagosanto, Giorgio Pasetto medico del ps/118 di Mirandola e Claudio Micheletti autista soccorritore del 118 di Bologna. Nel momento in cui si verifica un disastro, la Protezione Civile Nazionale chiede la disponibilità alle regioni di attivarsi per partire con la colonna mobile (logistica, cucina, approvvigionamenti, tecnici, personale sanitario, oppure con parti di essa) la cui autonomia nell’emergenza deve reggere per 72 ore. “Nel comune marchigiano di Montegallo, affidato all’Emilia Romagna, sono stati allestiti tre campi gestiti dalla nostra Regione nelle frazioni di Uscerno e di Balzo per accogliere 196 persone. Nel campo presso il camping Vettore c’è il punto medico, ma ogni campo è dotato di ambulanza. A questi si aggiungono altri nove micro campi di prossimità che ospitano 73 cittadini: si tratta perlopiù di anziani che non vogliono allontanarsi dalle loro case, uno di loro mi ha detto che non è mai nemmeno stato ad Ascoli Piceno”.
Lavorano l’orto e accudiscono le bestie, si lavano in casa ma non ci possono dormire perché, nel Comune di Montegallo, a 870 metri d’altezza, dove vivono 540 abitanti d’inverno e 5mila d’estate, tutte le abitazioni sono state dichiarate inagibili. Viste da fuori sembrano non aver subito danni, all’interno sono state devastate dal sisma.
Qui, dove si sono registrate due vittime e qualche ferito, “l’emergenza è socio-sanitaria – spiega Mora – perché c’è da ricostruire la rete dei servizi. Per questo abbiamo attivato collaborazioni coi medici di base che accolgono i pazienti nella tenda che funge da ambulatorio, con gli assistenti sociali, il distretto sanitario e anche con gli psicologi d’emergenza. Favorendo la sinergia fra le diverse componenti è possibile stratificare i bisogni e dare delle priorità con l’obiettivo di garantire una scelta trasparente in merito alle collocazioni delle persone. La nostra funzione è stata quella di raccordare tutte le varie funzioni al fine di ricreare, nuovamente, una rete assistenziale che il terremoto ha completamente sfaldato”. Poi c’è da provvedere allo stoccaggio degli alimenti, allo smaltimento dei rifiuti (anche di quelli speciali che vengono prodotti dalla nostra attività), alla predisposizione di un percorso per le salme, alla riduzione dei rischi di diffusione delle malattie esantematiche: “il controllo dei Nas, avvenuto domenica 28/08 non ha rilevato criticità nel nostro campo, abbiamo lavorato sodo, non meno di diciotto ore al giorno per almeno cinque giorni in quanto, in queste situazioni, non esiste una turnazione ma si va avanti a oltranza. “Dopo i terremoti in Abruzzo e in Emilia che ho vissuto in prima linea, ho rilevato un salto di qualità: il modello di intervento della colonna mobile di Protezione civile dell’Emilia Romagna si è ulteriormente consolidato ed è estremamente efficace con funzionari ben preparati. In quattro ore eravamo pronti a partire con la colonna mobile dalla cucina al personale sanitario. “Dove va, la Regione Emilia Romagna fa la differenza”, questo ci siamo sentiti dire.
Che tipo di reazione ha avuto la popolazione?
“Qui non hanno quella predisposizione all’assistenzialismo che paralizza l’intraprendenza: le persone escono dal campo alla mattina per andare a lavorare nell’orto e portarci frutta e ortaggi che poi vengono consegnati alla cucina. Sono disponibili, si fanno coinvolgere e hanno una buona attitudine alla resilienza”. Dopo il terremoto del 2012 che Fabio Mora ha vissuto sulla sua pelle, qualcosa è cambiato. “Non è paura, ma vedere queste persone mi ha fatto salire il magone, perché so cosa stanno vivendo: so cosa vuol dire non poter tornare a casa, vedere il proprio centro storico transennato e il proprio ospedale a pezzi. Vivere nelle tende con altre persone, dormire tutti insieme, utilizzare lo stesso bagno è dura: è come sentire compromessa la propria dignità. E quello che noi tentiamo di fare è ridare tale dignità alla vita quotidiana di queste persone e autonomia alla comunità”. Ma intanto piove da due giorni ed è un disastro: c’è freddo di notte, la felpa e il sacco a pelo non bastano.
Sara Gelli