Storie di guerra

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Lo stile di Andrea Bruno, fumettista e illustratore italiano, colpisce per i disegni: non si basano sulla linea bensì sul contrasto fra il bianco della tavola e il nero della china. L’agonismo formale delle sue tavole a fumetti si riflette anche nelle tematiche affrontate, veri e propri “appunti per storie di guerra” e distopie oniriche ambientate in periferie immaginarie, sature di macerie e ruderi industriali. Presso lo Spazio Meme di via Giordano Bruno l’artista esporrà per la prima volta, in occasione del Festival filosofia, le tavole del fumetto Paesaggio con il nemico (vernissage sabato 17, alle 19).
Andrea, l’agonismo è la tua impronta, come l’hai riversato nell’ideazione del tuo ultimo fumetto?
“Mi interessava lavorare su un’idea di conflitto interno, intestino e permanente. La lettura di un saggio di Agamben mi ha mostrato come il concetto di guerra civile sia qualcosa di peculiare rispetto a quelle tradizionali. Un agonismo trasversale alla comunità e al privato, una forma di instabilità profonda che pervade ogni aspetto della vita”.
Quali fonti ti hanno ispirato per creare l’immaginario di Paesaggio con nemico?
“La fonte principale è costituita da dei passi di Eraclito: mi hanno colpito non tanto per il loro contenuto filosofico, quanto per la loro forza evocativa e poetica. Da lì ha preso forma una sequenza onirica e notturna, una piccola rappresentazione punteggiata dalle frasi del filosofo. Inoltre ho utilizzato e citato alcune fotografie di Don McCullin, scattate a Cipro nel 1964, durante la guerra civile”.
Hai dichiarato che il segno può rappresentare l’altra parte del racconto quando le parole non bastano. Cosa intendi per segno narrante?
“Nel fumetto tra la parte visiva e il testo può crearsi una relazione complessa: è come se si avessero a disposizione due piste che possono sovrapporsi e mixarsi in tanti modi. Ogni tanto il disegno e la parola all’interno della stessa pagina possono anche raccontare due storie diverse”.
Nei tuoi lavori viene prima l’immagine o la sceneggiatura?
“In genere queste due componenti procedono di pari passo. Ma lo spunto di partenza è spesso un’immagine, una sequenza “vista”, dalla quale magari si sviluppa un racconto. Avrei molte difficoltà a lavorare con una sceneggiatura tradizionale”.
Senti l’esigenza di ambientare le tue storie in atmosfere atemporali e distopiche: perché?
“In parte c’è la voglia di svincolarmi da qualsiasi esigenza di documentazione e riproduzione della realtà. Ma, soprattutto, c’è il piacere dell’invenzione e la libertà di poter creare accostamenti temporalmente incongrui che esisteranno solo sulla pagina di un fumetto”.

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