L’arrivo di capitali stranieri in aziende storiche cittadine ha sollevato un acceso dibattito tra i lettori di Tempo: c’è chi saluta favorevolmente le operazioni e chi si domanda che futuro possa avere l’imprenditoria made in Carpi. Al professor Franco Mosconi, Tempo ha chiesto di commentare le recenti “fusioni e acquisizioni” che hanno interessato l’economia carpigiana.
C’è un filo rosso che lega le tre operazioni di cui molto si è discusso in città (Goldoni-Lovol Arbos Group, Angelo Po-Marmon Food Beverage & Water Technologies, Lameplast COC Group-Aksìa Group SGR) negli ultimi sei mesi? Per cercare una risposta è saggio fare un passo indietro: il commercio internazionale – il fatto, cioè, che le merci si spostino da un capo all’altro del mondo – è una realtà da molto tempo, da secoli. In verità, nell’economia contemporanea non viaggiano solo le merci (importazioni ed esportazioni), ma “girano” – si passi l’espressione – anche le fabbriche. E’ il fenomeno che tecnicamente va sotto il nome di “investimenti diretti esteri” (IDE) e di cui si parla, oggi, con intensità crescente e un po’ dappertutto nel mondo. Anche vicino a noi: prendiamo Bologna, per non andare troppo lontano. Quando il grande gruppo tedesco Audi-Vk ha acquisito, qualche anno fa, la Ducati per oltre un miliardo di euro, ha messo a segno un IDE dopo quello realizzato nel 1998 con l’acquisizione della Lamborghini. Ancora: quando la multinazionale americana Philip Morris ha di recente scelto il territorio bolognese per realizzare un nuovo investimento in Europa da 500 milioni di euro, ha dato vita a un altro IDE. La differenza fra queste operazioni è solo nella tecnica di realizzazione: le prime mediante “fusioni e acquisizioni” di imprese già esistenti; l’ultima mediante un investimento del tutto nuovo, che parte da zero. Non cambia, tuttavia, la sostanza delle cose, che è quella di investimenti non già speculativi, bensì finalizzati – in linea di principio – a far crescere l’impresa collocandola in un gruppo più grande. L’IDE, al contrario delle speculazioni in Borsa, si concretizza con l’investimento in macchine e impianti, tecnologia e capitale umano. Abbiamo così una prima risposta alla domanda posta all’inizio: sì, un filo rosso c’è e le tre operazioni che hanno avuto luogo, da dicembre a giugno, nella nostra economia locale si iscrivono pienamente nelle dinamiche evolutive del capitalismo contemporaneo. Qui dalle nostre parti la tendenza agli investimenti “in entrata” è poi ulteriormente rafforzata se teniamo conto di quanto già era successo alla regina dell’industria carpigiana, la moda. Il Fondo Carlyle è salito, giusto un anno fa, al 90% del capitale di un’importante griffe come Twin-Set Simona Barbieri, mentre qualche anno prima un altro fondo aveva acquisito la proprietà di Via delle Perle, altra prestigiosa azienda del distretto.
Come tutti i flussi, anche quello degli IDE può e deve essere letto nei due sensi, e dunque anche “in uscita”. Sotto questo profilo, l’operazione di gran lunga più significativa è quella condotta in porto a gennaio da Cifin-Emmegi: partendo da Limidi di Soliera ha acquisito in Germania il suo diretto concorrente, Elumatec, con quartier generale nei pressi di Stoccarda, capitale del Baden-Württemberg, la regione leader della manifattura europea (a quest’ultimo riguardo, rinvio all’articolo che ho scritto per Il Sole 24 Ore, speciale Emilia-Romagna, 21 giugno). All’operazione del Gruppo che fa capo alla famiglia Caiumi possiamo aggiungere i due importanti IDE che, sempre partendo dalla Via Emilia (Bologna, in questo caso) e restando all’industria meccanica, hanno avuto come destinazione la Germania: ossia, le acquisizioni realizzate dal Gruppo Ima (famiglia Vacchi) e da Bonfiglioli Riduttori (famiglia Bonfiglioli).
Insomma, anno dopo anno il fenomeno degli IDE ha assunto dimensioni ragguardevoli. L’ultimo rapporto sull’Economia regionale della Banca d’Italia (sede di Bologna), presentato pochi giorni or sono, ci dice che “nel 2014 (ultimo anno disponibile) il flusso di investimenti netti all’estero dell’Emilia-Romagna è stato positivo per 92 milioni di euro; il saldo degli investimenti esteri verso la regione per 478. Le consistenze hanno raggiunto i 16 miliardi di euro per gli investimenti all’estero, e i 20,5 per quelli esteri verso la regione”. Interessante sarà valutare queste grandezze il prossimo anno, quando sarà possibile aggiungervi tutte le operazioni del biennio 2015-2016, con l’economia di Carpi che ha giocato – o, meglio, sta giocando – un ruolo di rilievo.
Naturalmente, il fatto che i flussi di IDE si stiano ingrossando non significa di per sé che tutte le operazioni siano positive o destinate a un automatico successo. La storia economica più o meno recente è piena, in tutti i Paesi industrializzati del mondo (l’Italia fra questi), di fusioni e acquisizioni finite male per le incomprensioni fra i dirigenti, per errate decisioni strategiche, e così via. Spesso nelle comunità locali ove arrivano gli IDE “in entrata” il dibattito si surriscalda, e non mancano coloro che temono per la vendita dei gioielli di famiglia allo straniero. Nel contempo, vi sono coloro che giustamente valutano il flusso in entrata come un buon indice dell’attrattività di un territorio. Non credo che Carpi sfugga alla regola della contrapposizione fra queste due visioni.
E’ meglio, dunque, lasciare da parte astratti modelli e valutare ogni operazione per quello che rappresenta concretamente. L’esperienza di questi anni suggerisce almeno due cose. Primo: le operazioni di “fusione e acquisizione” devono tendere a rafforzare il business principale delle imprese coinvolte, che deve essere lo stesso (ad esempio la meccanica strumentale) al fine di unire le rispettive gamme di prodotto per offrire ai consumatori una sempre più ampia varietà. Secondo: le dimensioni contano perché sono costose e rischiose (e quindi bisognose di ingenti risorse finanziarie) le attività oggi cruciali nella vita di un’impresa: si pensi alla ricerca e alla progettazione, alla commercializzazione e all’assistenza post-vendita. Pare a me che le operazioni carpigiane – gli IDE sia “in entrata” che “in uscita” – ricadano in una di queste due fattispecie e, in più di un caso, in tutt’e due.
“Gli stranieri sulla via Emilia” titolava già alla fine scorso anno OUTLOOK, il bimestrale di Confindustria Modena: occorrerà farci l’abitudine e adeguare istituzioni e politiche pubbliche, anche in ambito locale, per accompagnare le imprese nella competizione del XXI secolo.
Franco Mosconi, professore Jean Monnet di Economia e Politica Industriale
all’Università di Parma