Sono passati trent’anni da quel terribile 26 aprile 1986. Da allora cinque milioni di persone continuano a vivere in aree contaminate tra Ucraina, Bielorussia e Russia.
Pripyat, nell’estremo nord dell’Ucraina è il cuore della “zona morta”, il cimitero radioattivo di 30 km tutto intorno a Chernobyl dove è proibito vivere. I suoi 46mila abitanti furono evacuati su bus da turismo solo 36 ore dopo l’incidente e lo stesso fu per tutti gli altri villaggi all’interno del perimetro.
Da allora si assiste a un continuo ritorno nelle zone vietate. Il governo Bielorusso, paese con il quale il coordinamento di Legambiente Solidarietà lavora, incoraggia i rientri: da un paio d’ anni non pubblica dati sanitari, assicurando che quelle aree sono pulite e taglia i sussidi che prima spettavano alla gente delle zone contaminate.
I 30 anni che ci separano da Chernobyl non hanno dissipato i dubbi scientifici sulle ferite che la deflagrazione ha inferto all’organismo umano e le ricerche indipendenti sbattono sul muro delle uniche voci autorizzate a diffondere statistiche ufficiali.
In un documento dell’Oms del 2006 si dichiarava che solo 626.000 persone assorbirono radiazione dannose: i liquidatori, gli abitanti della zona morta e delle zone circostanti. Fra loro si prevedeva un aumento lieve dei tumori, un 3-4% rispetto alla media, Quanto a leucemia e altri tumori si affermava che fossero dovuti ad alcool e fumo.
Tutt’altro quadro emerge, invece, dai rapporti di Greenpeace che stima in 200mila le vite stroncate dalla radioattività nel solo decennio dal 1991 al 2000, un aumento dei tumori del 40% in Bielorussia e del 52% nella sola regione di Gomel. L’organizzazione ambientalista concludeva che Chernobyl ha provocato, e continuerà a farlo, una significativa impennata di malattie e mortalità in tutta Europa, fino a malformazioni fetali e alterazioni cromosomiche. L’ultimo studio di quest’anno rivela che i livelli di radiazione sono addirittura aumentati nei cereali e che i bambini nati oggi bevono ancora latte contaminato. La verità è che scopriremo solo col tempo le reali tragiche conseguenze dell’incidente. Le sostanze radioattive si sono depositate nei primi strati del terreno e continuano a rilasciare i loro criminali effetti alle colture che finiscono direttamente o indirettamente sulle tavole dei residenti.
Gli incendi scoppiati nei boschi intorno alla centrale nucleare furono circa 1.200, tra grandi e piccoli: hanno liberato isotopi radioattivi che il vento ha fatto posare, poi, chissà dove.
Il reattore, intanto, continua a ribollire e il sarcofago che lo contiene è sempre più deteriorato; era stato costruito per durare giusto trent’anni. Solo nel 2012 sono iniziati i lavori per la costruzione del New safe confinement, la struttura da 2 miliardi di euro che entro il 2017 dovrebbe sigillare il vecchio sarcofago. Denominata The Arch per via della sua forma ad arco sarà una struttura monumentale: alta 110 metri, lunga 164 e larga 257. Tre volte più pesante della Torre Eiffel e per la quale saranno necessarie 29.000 tonnellate di strutture metalliche.
Ma anche questa sarà una tomba temporanea che durerà un secolo e le radiazioni non consentiranno di fare manutenzioni. Inoltre, ancora non si sa come rimuovere le circa 200 tonnellate di carburante radioattivo ancora racchiuse dentro il reattore: un vero e proprio magma di plutonio, uranio cemento e acciaio.
Insomma, Chernobyl è un’immane tragedia che ha devastato quel territorio e non solo e ha dimostrato, come si è poi ripetuto a Fukushima, l’impotenza e l’incapacità dell’uomo a controllare forze da lui create.
Ma Chernobyl è stato anche un punto di svolta della storia, non solo energetica. Da lì hanno preso vigore le battaglie per cambiare il modello di produzione dell’energia, puntando su rinnovabili ed efficienza.
Negli ultimi 10 anni le rinnovabili hanno avuto un calo dei costi: del 75% il fotovoltaico, 35% per l’eolico. Sul versante dell’atomo si è avuta una crescita esponenziale dei costi, al punto che anche i progetti delle singole centrali sono fuori controllo. Succede questo per il reattore di nuova generazione Epr di Olkiluoto3, in Finlandia, così come per il “fratello” l’Epr di Flamanville in Francia. Anni di ritardo nella loro costruzione e costi alle stelle.
Ma nonostante ciò non si ferma la costruzione di nuove centrali che si andranno ad aggiungere alle tante, troppe, già presenti in Europa. E’ il caso, ironia della sorte, di quella in costruzione in Bielorussia, al confine con la Lituania e finanziata da capitale russo.
Se all’estero ci sono problemi con le centrali in costruzione, in Italia ci troviamo a dovere gestire lo smantellamento di quelle chiuse dopo il primo referendum antinucleare e allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Per il 2020 la Sogin, società incaricata, prevedeva l’ operatività del deposito nazionale centrale in cui fare lo stoccaggio di tutti i fusti che ancora si trovano nei singoli siti in condizioni non certo “ottimali” ma ancora oggi non esiste un elenco pubblico dei potenziali siti.
Da pochi mesi il Comitato Progetto Chernobyl di Carpi, Novi e Soliera ha ricordato i propri 20 anni di attività. Anni nei quali oltre alla denuncia e all’impegno diretto in campagne antinucleari e nella sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, ha sempre affiancato interventi concreti in aiuto delle popolazioni della Bielorussia colpite dalla tragedia e in particolare dell’infanzia. Fino al 2006 l’accoglienza dei cosiddetti Bambini di Chernobyl presso le nostre famiglie ha fatto toccare con mano il dramma, in quegli anni ancora molto sentito nella nostra comunità. A fianco di ciò si sviluppavano progetti di cooperazione con istituzioni sanitarie e scolastiche bielorusse, come nel caso dell’Ambulatorio mobile che continua tutt’oggi la propria attività nei villaggi a fare ecografie alla tiroide per una diagnosi precoce di eventuali problemi.
Dal 2007 è partito il Progetto Rugiada che vede l’ospitalità dei bambini residenti nelle zone più contaminate della Bielorussia in un centro altamente specializzato in una zona “pulita” del loro paese dove possono ricevere le stesse attenzioni sanitarie, terapeutiche, pedagogiche e alimentari che ricevevano presso la nostra comunità con il vantaggio di restare nel proprio Paese, tra la propria gente . Anche quest’anno saranno 25 i bambini che grazie al Comitato Progetto Chernobyl di Carpi, Novi e Soliera potranno usufruire del soggiorno al Centro Nadiejda e ciò grazie all’attività dei tanti volontari, all’appoggio delle istituzioni cittadine e al contributo della nostra comunità.
Dal 2010 ha preso avvio anche il progetto Serre che ha visto la fornitura di materiali e competenze per la costruzione di sei serre alle scuole dei villaggi di Vishevno, Maleika, Usa, Dgun e presso il Centro Disabili di Braghin. Da queste serre, attraverso l’insegnamento agli stessi alunni delle tecniche di coltivazione pulita si ottengono vegetali e ortaggi destinati all’alimentazione scolastica; in questi progetti, significativo e importante, non solo dal punto di vista economico, è il contributo della Chiesa Valdese. Per i prossimi mesi l’associazione ha in cantiere alcune iniziative per non dimenticare i trent’anni da Chernobyl e il significato di un evento che ha segnato uno dei momenti più tragici per la storia dell’uomo.
Sono passati trent’anni da quel terribile 26 aprile 1986. Da allora cinque milioni di persone continuano a vivere in aree contaminate tra Ucraina, Bielorussia e Russia.
Pripyat, nell’estremo nord dell’Ucraina è il cuore della “zona morta”, il cimitero radioattivo di 30 km tutto intorno a Chernobyl dove è proibito vivere. I suoi 46mila abitanti furono evacuati su bus da turismo solo 36 ore dopo l’incidente e lo stesso fu per tutti gli altri villaggi all’interno del perimetro.
Da allora si assiste a un continuo ritorno nelle zone vietate. Il governo Bielorusso, paese con il quale il coordinamento di Legambiente Solidarietà lavora, incoraggia i rientri: da un paio d’ anni non pubblica dati sanitari, assicurando che quelle aree sono pulite e taglia i sussidi che prima spettavano alla gente delle zone contaminate.
I 30 anni che ci separano da Chernobyl non hanno dissipato i dubbi scientifici sulle ferite che la deflagrazione ha inferto all’organismo umano e le ricerche indipendenti sbattono sul muro delle uniche voci autorizzate a diffondere statistiche ufficiali.
In un documento dell’Oms del 2006 si dichiarava che solo 626.000 persone assorbirono radiazione dannose: i liquidatori, gli abitanti della zona morta e delle zone circostanti. Fra loro si prevedeva un aumento lieve dei tumori, un 3-4% rispetto alla media, Quanto a leucemia e altri tumori si affermava che fossero dovuti ad alcool e fumo.
Tutt’altro quadro emerge, invece, dai rapporti di Greenpeace che stima in 200mila le vite stroncate dalla radioattività nel solo decennio dal 1991 al 2000, un aumento dei tumori del 40% in Bielorussia e del 52% nella sola regione di Gomel. L’ organizzazione ambientalista concludeva che Chernobyl ha provocato, e continuerà a farlo, una significativa impennata di malattie e mortalità in tutta Europa, fino a malformazioni fetali e alterazioni cromosomiche. L’ultimo studio di quest’anno rivela che i livelli di radiazione sono addirittura aumentati nei cereali e che i bambini nati oggi bevono ancora latte contaminato. La verità è che scopriremo solo col tempo le reali tragiche conseguenze dell’incidente. Le sostanze radioattive si sono depositate nei primi strati del terreno e continuano a rilasciare i loro criminali effetti alle colture che finiscono direttamente o indirettamente sulle tavole dei residenti.
Gli incendi scoppiati nei boschi intorno alla centrale nucleare furono circa 1.200, tra grandi e piccoli: hanno liberato isotopi radioattivi che il vento ha fatto posare, poi, chissà dove.
Il reattore, intanto, continua a ribollire e il sarcofago che lo contiene è sempre più deteriorato; era stato costruito per durare giusto trent’anni. Solo nel 2012 sono iniziati i lavori per la costruzione del New safe confinement, la struttura da 2 miliardi di euro che entro il 2017 dovrebbe sigillare il vecchio sarcofago. Denominata The Arch per via della sua forma ad arco sarà una struttura monumentale: alta 110 metri, lunga 164 e larga 257. Tre volte più pesante della Torre Eiffel e per la quale saranno necessarie 29.000 tonnellate di strutture metalliche.
Ma anche questa sarà una tomba temporanea che durerà un secolo e le radiazioni non consentiranno di fare manutenzioni. Inoltre, ancora non si sa come rimuovere le circa 200 tonnellate di carburante radioattivo ancora racchiuse dentro il reattore: un vero e proprio magma di plutonio, uranio cemento e acciaio.
Insomma, Chernobyl è un’immane tragedia che ha devastato quel territorio e non solo e ha dimostrato, come si è poi ripetuto a Fukushima, l’impotenza e l’incapacità dell’uomo a controllare forze da lui create.
Ma Chernobyl è stato anche un punto di svolta della storia, non solo energetica. Da lì hanno preso vigore le battaglie per cambiare il modello di produzione dell’energia, puntando su rinnovabili ed efficienza.
Negli ultimi 10 anni le rinnovabili hanno avuto un calo dei costi: del 75% il fotovoltaico, 35% per l’eolico. Sul versante dell’atomo si è avuta una crescita esponenziale dei costi, al punto che anche i progetti delle singole centrali sono fuori controllo. Succede questo per il reattore di nuova generazione Epr di Olkiluoto3, in Finlandia, così come per il “fratello” l’Epr di Flamanville in Francia. Anni di ritardo nella loro costruzione e costi alle stelle.
Ma nonostante ciò non si ferma la costruzione di nuove centrali che si andranno ad aggiungere alle tante, troppe, già presenti in Europa. E’ il caso, ironia della sorte, di quella in costruzione in Bielorussia, al confine con la Lituania e finanziata da capitale russo.
Se all’estero ci sono problemi con le centrali in costruzione, in Italia ci troviamo a dovere gestire lo smantellamento di quelle chiuse dopo il primo referendum antinucleare e allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Per il 2020 la Sogin, società incaricata, prevedeva l’ operatività del deposito nazionale centrale in cui fare lo stoccaggio di tutti i fusti che ancora si trovano nei singoli siti in condizioni non certo “ottimali” ma ancora oggi non esiste un elenco pubblico dei potenziali siti.
Da pochi mesi il Comitato Progetto Chernobyl di Carpi, Novi e Soliera ha ricordato i propri 20 anni di attività. Anni nei quali oltre alla denuncia e all’impegno diretto in campagne antinucleari e nella sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, ha sempre affiancato interventi concreti in aiuto delle popolazioni della Bielorussia colpite dalla tragedia e in particolare dell’infanzia. Fino al 2006 l’accoglienza dei cosiddetti Bambini di Chernobyl presso le nostre famiglie ha fatto toccare con mano il dramma, in quegli anni ancora molto sentito nella nostra comunità. A fianco di ciò si sviluppavano progetti di cooperazione con istituzioni sanitarie e scolastiche bielorusse, come nel caso dell’Ambulatorio mobile che continua tutt’oggi la propria attività nei villaggi a fare ecografie alla tiroide per una diagnosi precoce di eventuali problemi.
Dal 2007 è partito il Progetto Rugiada che vede l’ospitalità dei bambini residenti nelle zone più contaminate della Bielorussia in un centro altamente specializzato in una zona “pulita” del loro paese dove possono ricevere le stesse attenzioni sanitarie, terapeutiche, pedagogiche e alimentari che ricevevano presso la nostra comunità con il vantaggio di restare nel proprio Paese, tra la propria gente . Anche quest’anno saranno 25 i bambini che grazie al Comitato Progetto Chernobyl di Carpi, Novi e Soliera potranno usufruire del soggiorno al Centro Nadiejda e ciò grazie all’attività dei tanti volontari, all’appoggio delle istituzioni cittadine e al contributo della nostra comunità.
Dal 2010 ha preso avvio anche il progetto Serre che ha visto la fornitura di materiali e competenze per la costruzione di sei serre alle scuole dei villaggi di Vishevno, Maleika, Usa, Dgun e presso il Centro Disabili di Braghin. Da queste serre, attraverso l’insegnamento agli stessi alunni delle tecniche di coltivazione pulita si ottengono vegetali e ortaggi destinati all’alimentazione scolastica; in questi progetti, significativo e importante, non solo dal punto di vista economico, è il contributo della Chiesa Valdese. Per i prossimi mesi l’associazione ha in cantiere alcune iniziative per non dimenticare i trent’anni da Chernobyl e il significato di un evento che ha segnato uno dei momenti più tragici per la storia dell’uomo.