Referendum trivelle: quel che c’è da sapere

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Domenica 17 aprile il Paese è chiamato alle urne per pronunciarsi su un tema importante per la sua ricaduta ambientale, energetica e di contenimento delle emissioni di gas di serra. L’intenzione dei promotori del referendum sulle trivelle è chiara: fermare le trivellazioni e mettere fine alla ricerca e all’estrazione di petrolio e gas nei mari del nostro Paese, entro il limite stabilito di 12 miglia nautiche.  Gli elettori dovranno decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa, debbano durare sino all’esaurimento del giacimento, come avviene attualmente, oppure sino al termine della concessione. Se il referendum dovesse passare – raggiungendo il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto con la vittoria del sì – le piattaforme piazzate in mare (a meno di 12 miglia dalla costa) verranno smantellate una volta scaduta la concessione, senza poter sfruttare completamente il gas o il petrolio nascosti sotto i fondali. Non cambierà invece nulla per le perforazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia: proseguiranno e non ci saranno variazioni per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, già proibite dalla legge. Il Ministero per lo sviluppo economico ha chiarito che il quesito sostanzialmente riguarda 135 piattaforme attive, anche se il numero di concessioni è minore, circa una quarantina, poiché ognuna di esse può comprendere più piattaforme. Del referendum sulle trivelle si parla ben poco. Il Governo ha scelto di non accorparlo alle elezioni amministrative e, al contrario, da più parti ha invitato gli elettori all’astensionismo: raggiungere il quorum sarà probabilmente un’impresa improba. Poi c’è la solita confusione tra sì e no: vota sì se non vuoi le trivelle, e viceversa. Ma quali sono le ragioni del Sì e quelle del No?

a cura di Jessica Bianchi

La correggese Elisabetta Sala, del Movimento No Triv di Reggio Emilia
Le ragioni del Sì

“Andare a votare e votare Sì il 17 aprile ci sembra utile, giusto e lungimirante. E’ un passo verso una svolta alla politica energetica del nostro Paese, dell’Europa e del mondo intero. Infatti la Conferenza mondiale sul clima a Parigi, COP21, ha prodotto in tal senso raccomandazioni precise. Citando ricerche autorevoli – pubblicate su Nature all’inizio del 2015 – ha poi ribadito che “se si vuole mantenere l’aumento di temperatura globale ben al di sotto dei 2°C, come raccomandato nel documento finale della COP21 di Parigi nello scorso novembre, un terzo delle riserve di petrolio e la metà di quelle di gas non dovrebbero essere estratte”. Inoltre la norma presente nella Stabilità 2016 è “palesemente illegittima in quanto una durata a tempo indeterminato delle concessioni viola le regole sulla libera concorrenza”. I giacimenti interessati sono quelli entro le 12 miglia, tra i primi a essere stati messi in produzione in Italia e quindi per la quasi totalità giacimenti in via di esaurimento, su cui insistono piattaforme la cui attività è ormai ridotta. Perciò è una falsità gratuita fare leva sulle migliaia di posti di lavoro che andrebbero persi. La realtà, dietro alle affermazioni pubblicitarie fatte da politici e agenti di pubbliche relazioni delle compagnie petrolifere travestiti da esperti, mostra che i tanto auspicati aumenti produttivi possibili potrebbero essere mantenuti per un periodo non superiore agli otto anni e, anzi, quasi certamente inferiore ai cinque. Poi c’è la questione ambientale: la distanza dalla costa di queste concessioni, seppure io sia contraria alle estrazioni in qualsiasi posizione, è davvero ridicola. Troppi i rischi legati alle tecniche di ricerca ed estrazione di idrocarburi che possono incidere sulla fauna marina, elevando il livello di stress o provocando danni. Per non parlare del pericolo di subsidenza (cioè l’abbassamento della superficie del suolo causato da fenomeni naturali o indotto dall’attività dell’uomo) e dei danni prodotti da eventuali incidenti. Io voto sì”.

Il geologo carpigiano Gianluca marcato
Le ragioni del No

“Questo referendum è uno spreco inutile: vi sono già leggi dello Stato che regolano in modo severo il rilascio di concessioni per l’estrazione di idrocarburi. Mi preme innanzitutto sottolineare che le concessioni all’estrazione di idrocarburi sottostanno a una valutazione di impatto ambientale (VIA) assai severa e  condotta da Enti dello Stato. Tali organi spesso si avvalgono di competenze presenti negli Enti di Ricerca nazionali e Università ove si trovano conoscitori della materia in grado di valutare al meglio i molteplici aspetti che governano la struttura e la conduzione e la dismissione di tale impianto di estrazione di idrocarburi. Sappiamo dalle cronache quanto può durare l’iter di una VIA in Italia. Giungere a un parere in campo ambientale infatti, introducendo variabili e scenari differenti, richiede anni di monitoraggio: non è come predisporre un esperimento in laboratorio, dove tutto è controllato e non sono presenti le variabili meteo-climatica e fisiche del sistema da affrontare. Le concessioni attive in Adriatico hanno superato questo severo esame, che ha richiesto notevoli investimenti e la creazione di infrastrutture ad hoc. Non varrebbe la pena dismettere tali impianti – senza che questi possano avere la possibilità di richiedere il rinnovo della concessione alla scadenza dei termini – prima dell’esaurimento dei giacimenti. Ovviamente l’estensione della durata delle concessioni deve, ed è già previsto, sottostare a un nuovo parere di VIA. Non mi soffermo poi sugli aspetti legati al fatto che il fabbisogno nazionale verrebbe soddisfatto con un aumento delle importazioni e ciò causerebbe un incremento del traffico di petroliere e navi di trasporto gas, né indugio sul fatto che i giacimenti da cui prenderemmo il gas forse non sono stati attivati a valle dopo severi pareri di VIA. A meno che non vogliamo immaginare le stesse procedure in tutti i paesi in cui avviene l’estrazione di idrocarburi, anche in paesi in via di sviluppo o del terzo mondo. Vorrei quindi ribadire che si deve avere fiducia negli iter italiani legati alle VIA. Dobbiamo credere nella condizione di super partes dei funzionari di elevata specializzazione dello Stato. Per questi la salvaguardia ambientale, e quindi del patrimonio dello Stato, rimane l’unico interesse. Una volta rilasciata la concessione di VIA, non vi è pericolo né per l’uomo né per l’ambiente”.