Da Carpi a Gand: la ricerca non ha confini

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Dopo la laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, Francesca Bisi, carpigiana classe 1986, ha iniziato subito a lavorare presso il Dipartimento di Ingegneria “E. Ferrari” di Modena tramite una borsa di studio, al termine della quale ha ottenuto un posto per il Dottorato di Ricerca che l’ha portata a studiare nella cittadina belga di Gand, capoluogo delle Fiandre orientali.
“Nell’ambito del mio Dottorato che sto svolgendo in collaborazione con un’azienda biomedicale – ha raccontato Francesca – ho scelto di approfondire l’ambito dei miei studi in Belgio, dopo aver conosciuto, durante un convegno, il gruppo di ricerca dell’Università di Gand, che è impegnato in attività estremamente innovative e molto affini a quelle del mio progetto di ricerca: gli idrogeli, ovvero materiali in grado di assorbire acqua”.
Di cosa ti sei occupata nello specifico?
“Mi sono occupata di tecniche di prototipazione rapida applicate agli idrogeli per la preparazione di scaffolds biocompatibili, ovvero strutture 3D che possono essere utilizzate tra l’altro per la crescita cellulare e la rigenerazione dei tessuti. La prototipazione rapida e la stampa 3D sono tra le tecnologie di lavorazione delle materie plastiche a oggi più studiate. La possibilità di ottenere strutture 3D all’interno delle quali le cellule possono crescere e svilupparsi, creando dei veri e propri tessuti, è una delle tematiche più attuali nella ricerca biomedicale e farmaceutica; la visione più “futuristica” in questo ambito è la possibilità di creare organi artificiali Il gruppo con cui ho lavorato si chiama PBM Group (Polymer Chemistry and Biomaterials Group), e conta circa una trentina tra dottorandi e post dottorandi coordinati dal professor Peter Dubruel.
E’ stata un’esperienza molto positiva sotto tutti i punti di vista: professionale per l’altissimo livello di ricerca ma anche personale per aver avuto l’opportunità di conoscere persone brillanti, aperte e disponibili”.
Avevi avuto altre esperienze all’estero prima di questa?
“Nel 2010 ho vissuto a Vienna per 6 mesi nell’ambito del progetto Erasmus. All’epoca avevo lavorato in un laboratorio di ricerca presso il Dipartimento di Chimica della capitale austriaca per la redazione della mia tesi di laurea. Il progetto di cui mi ero occupata allora è completamente diverso rispetto a quello a cui mi sto dedicando adesso, ma credo che sia stata proprio questa esperienza ad avermi fatto capire che dopo la laurea avrei voluto proseguire con il Dottorato”.
Oltre al lavoro, cosa ti è piaciuto della tua vita a Gand?
“Gli aspetti positivi di Ghent sono molteplici. Innanzitutto è un grande polo universitario – l’Ateneo conta circa 41.000 iscritti che corrispondono ai 2/3 della popolazione di Carpi – e per questo si è immersi in un ambiente dinamico, stimolante e di respiro internazionale. Nonostante le sue grandi dimensioni, Gand è anche una città a misura d’uomo, ma allo stesso tempo molto attiva, oltre a essere intrisa di storia e cultura”.
Quali differenze hai riscontrato nel fare ricerca in Italia e in Belgio?
“Le differenze esistono. Il fatto che il Belgio sia tra i Paesi europei che investono maggiormente nella ricerca si percepisce sopratutto nei progetti che vengono sviluppati e che riguardano tematiche attuali e di forte impatto scientifico. La gerarchia dei ruoli è meno rigida e ciò permette di sentirsi davvero parte di un gruppo coeso in cui ciascuno collabora condividendo idee per il raggiungimento di traguardi. L’importanza del lavoro di squadra all’estero viene decisamente più valorizzata. Inoltre, anche per quanto riguarda lo stipendio c’è un grande divario: in Belgio, in media, per un Dottorato si percepisce quasi il doppio rispetto a quello che spetta in Italia con una borsa di studio ministeriale. In Belgio, come in altri Paesi stranieri, si trovano maggiori possibilità di lavoro e ci sono più aziende con reparti interni dedicati alla ricerca sperimentale per chi vuole spostarsi dal mondo accademico a quello dell’industria.
Tuttavia, anche in Italia ci sono atenei di eccellenza e gruppi di ricerca che sviluppano progetti validi, anche se le prospettive sono diverse. In Italia non è una novità che gli atenei siano “chiusi” e che venga riconosciuto poco spazio ai giovani ricercatori. Se è vero che si possono ottenere assegni di ricerca anche per diversi anni, bisogna ammettere che le opportunità di crescita nella carriera universitaria sono pochissime. Negli ultimi anni stiamo però assistendo a un leggero cambiamento di rotta nell’ambito aziendale, nel senso che sempre più imprese valorizzano il percorso di Dottorato vedendolo come un momento di alta specializzazione e formazione”.
Nel futuro dove ti vedi?
“Sogno di poter continuare a fare ricerca che per me non è solo un lavoro ma è prima di tutto una passione. Sto investendo tanto nella mia formazione e spero di avere altre soddisfazioni per tutto l’impegno che ci sto mettendo”.
Chiara Sorrentino