“I conti con la vita non tornano mai”

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“Cos’è che ci viene trasmesso da coloro che ci danno la vita? Oltre il cognome, la storia, la cultura, i valori, gli affetti… cosa riceviamo in eredità? E tale eredità è conscia o ha invece a che fare con l’irrazionale, l’inconsapevolezza?  Cosa significa fare i conti col proprio passato e riconciliarsi con esso?”. Sono questi gli interrogativi da cui prende il via la lezione della filosofa Michela Marzano. “Fare pace coi propri ricordi – spiega – è possibile solo se si è disposti a trovare un punto di equilibrio tra fedeltà e tradimento”. La discriminante? “Distinguere ciò che ci è stato trasmesso con amore e ciò che, al contrario, ci è stato imposto. Consapevoli però che i conti con la vita non tornano mai”. Michela Marzano fa sua la lezione dello psicoanalista Massimo Recalcati per poi andare oltre. “Il filo rosso del suo lavoro è proprio il tema dell’ereditare, ovvero la trasmissione da una generazione all’altra di norme e desiderio: al padre è affidato il compito di trasmettere la legge, mentre l’eredità materna passa attraverso la capacità della madre di essere il primo soccorritore, colei che fa sì che la vita non cada nel vuoto di senso. La visione di Recalcati però è quella di un mondo perfetto. Ideale”. Accade, al contrario, che nella vita, qualcosa si spezzi e la trasmissione si interrompa: “qualora il padre imponga e la madre non ci raccolga – ci domanda la Marzano – come facciamo a umanizzarci? A strutturarci? Se alla legge ci viene imposto l’imperativo del dover essere, se non c’è uno sguardo che ci riconosce, che ci trattiene, se non abbiamo risposte né chiavi di lettura, come è possibile riallacciare le fila della vita?”. Jacques Lacan scriveva: non c’è parola senza risposta anche se l’unica risposta è il silenzio. “Nella psicoanalisi – prosegue la filosofa – la parola trova uno specchio davanti al quale riannodare i fili del passato. Ciò dovrebbe valere anche per quanto riguarda i rapporti interpersonali. Il problema è l’incapacità  di fare in se stessi lo spazio necessario per permettere alla porla altrui di essere udibile e non immediatamente cancellata. La parola dell’altro è sempre incomprensibile, ma ascoltarla, seppure nel silenzio, significa accettarla. Senza operare alcuna negazione. Spesso la dimensione dell’ascolto non c’è, perché la parola altrui fa paura. Disturba”. E l’inquietante di cui parlava Freud. Nella sua Lettera al padre, Kafka scriveva: questa sensazione di nullità deriva dalla tua influenza… tutto quello che mi gridavi era un ordine dal cielo, l’unico strumento per giudicare il mondo e me stesso. “Quando la figura genitoriale non è in grado di trasmettere valori con amore, allora la reazione del figlio è quella di vivere la parola come un’ingiunzione. Un imperativo”. Ma oltre alle parole ci sono anche sguardi che pietrificano, come ci insegna il mito di Medusa: “sguardi che non accolgono, che non si aprono al riconoscimento. Parole e sguardi che, come scriveva Sartre, ci colpiscono in pieno cuore. I genitori possono allora diventare pericolosi e il mondo, per i figli, diventa un inferno terrestre”. Per Michela Marzano quindi le eredità sono sostanzialmente due: la capacità di vivere nel mondo distinguendo la direzione verso cui voler andare o, al contrario, la mancanza di fiducia. “Affinché il mondo non diventi piccolo piccolo, occorre dare all’altro la possibilità di fare domande anche quando non ci sono risposte. Fare i conti col passato non significa uscire dalla propria invulnerabilità, condizione intrinseca alla nostra umanità, bensì di accettarla. Così come la fragilità o il vuoto che ci attraversa”. Michela Marzano parla poi dell’importanza di un percorso di narrazione di sé. “Occorre ricordare, tornare al cuore di une memoria che va ben oltre l’enumerazione dei meri fatti. Dare il giusto nome alle cose: ciò che ci è stato imposto, ciò che ci è stato negato, ciò che non abbiamo ricevuto. Dobbiamo mettere la parola fine alla fatica di stringere il mondo per aprirlo, esprimendo ciò che siamo”. Ma come si può, al contrario, trasmettere con amore? Il segreto sta nella dialogicità della relazione, “nell’amare con te e non te” e riconoscendo un assunto vitale: “il valore di ciò che si trasmette è subordinato al valore di chi abbiamo di fronte”. La riconciliazione col proprio passato è possibile se e solo se, spiega la Marzano, “capiamo che l’assenza che alberga in noi resterà. Che gli ordini imperativi ricevuti rimarranno con noi. Mettere un punto alla narrazione di sé significa smettere di recriminare. I bambini che siamo stati non otterranno mai alcuna riparazione per ciò che non hanno avuto. Uscire dall’atteggiamento vittimistico è il primo passo per riconciliarsi col passato, mettendo fine alla colpevolizzazione degli altri. Persone che, evidentemente, non ci potevano dare alcunché poiché alle spalle avevano a loro volta un’eredità bucata, Diventare aguzzini di se stessi è controproducente, Lacan lo chiamava godimento mortifero. E’ vero siamo stati vittime, dobbiamo ripercorrere il passato per riconoscerlo e poi mettervi un punto. E iniziare così a esprimerci”. Perché la vita possa riaprirsi al futuro, “dobbiamo smettere di accusare gli altri per ciò che non ci hanno dato e concederci cose anche se queste non potranno mai colmare quel vuoto che, lo ribadisco, è il tratto distintivo della condizione umana”.
Jessica Bianchi