Gesù: il lascito del maestro

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Sequela: è stato questo il tema della lezione di Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose. “Un termine recente nel vocabolario cristiano, tra i più evocativi e ispiranti per chi si interessa di Cristo. Coniato dal teologo Dietrich Bonhoeffer per indicare l’andare dietro Gesù, il seguirlo”. Un concetto che torna continuamente nei vangeli, dove non si parla mai di imitazione del Cristo, bensì, appunto, di sequela: “il discepolo doveva seguire il maestro e, con creatività, rinnovare l’eredità ricevuta”. Emerso dopo anni oscuri passati nel deserto, Gesù non aveva mai frequentato scuole rabbiniche ma, grazie al suo insegnamento sapiente e carismatico, si guadagnò, tra la gente, “il titolo di Rabbi e quello di profeta, poiché parlava nel nome di dio”. Gesù è l’uomo della rottura, colui che spezza le tradizioni del passato. “Cristo non si faceva scegliere, era lui a eleggere, in modo del tutto inatteso e con grande autorevolezza, i propri seguaci, ai quali chiedeva di abbandonare tutto per stare con lui. Peccatori e fedeli, i suoi discepoli vissero accanto a lui in una sorta di comunità itinerante, tra i territori della Galilea e della Giudea”. Gesù scandalizzava, col suo comportamento scardinava la tradizione dei padri, si circondava di donne, laddove i rabbini, prosegue Bianchi, “non dovevano nemmeno parlare con loro”. Seguirlo rappresentava una scelta radicale. Legarsi a lui significava mutare completamente la propria mentalità. “Nonostante per la sua famiglia fosse pazzo, per le autorità religiose un posseduto dal demonio, per i sacerdoti un bestemmiatore… l’autorevolezza di Cristo derivava dalla totale consonanza tra ciò che diceva e ciò che praticava. Lui non contestava il contenuto della Torah, voleva al contrario, liberare le scritture dalla tradizione”. Ciò che in Gesù era straordinario era la sua umanità umanissima, nulla di divino era mai apparso in lui, ma sapeva parlare alla gente e lo faceva con “parole ospitali, accoglienti. Le sue parabole attingevano dalla vita comune, tra padri, madri e pastori… stava tra la gente e la guardava negli occhi. Gesù donava speranza. Liberava gli ascoltatori da tutto ciò che li paralizzava. Trasformava il loro cuore di pietra in un cuore di carne. Umano. Perché dove c’è carne, c’è umanità”. Una morte maledetta la sua: crocefisso a mezz’aria, come un comune apostata, poiché indegno del cielo e della terra. “Con la cattura e la morte del maestro, tutti i suoi discepoli fuggirono ma l’esperienza vissuta accanto a lui li aveva trasformati. Ci furono fughe, abbandoni, tradimenti, tuttavia, un piccolo nucleo di uomini e donne hanno avuto la capacità di raccogliere e custodire il lascito del loro Rabbi. Furono capaci di rigenerare l’eredità ricevuta. Gesù lasciò loro in dono lo spirito, un soffio  che sarebbe partito dalla loro coscienza. Perché è nel cuore che vive la forza per ricercare il cristianesimo. Per ricordare ciò che ci è stato insegnato e con piena responsabilità rigenerarlo”.
Secondo Enzo Bianchi sono state quattro le grandi rotture che il Cristo fece rispetto all’ebraismo. Quattro lezioni che non dovremmo sottovalutare ma accogliere. “Il Cristianesimo sigla il passaggio dal regime della legge a quello dell’amore, della misericordia; e, ancora, sancisce il salto dal tempio al corpo: il sacramento di dio è l’uomo stesso; Israele smette di essere la terra promessa, poiché è il mondo intero a essere promesso a tutti gli uomini. E, infine, il Cristo introduce il concetto di universalità, tutti sono fratelli”. E allora eccola la grande lezione. Il lascito del maestro: “non possono esistere né libertà né uguaglianza, se prima non vi è fraternità. Questa è l’eredita di Gesù. Plurale. Universale. Una brace sempre accesa nel nostro cuore. Ogni uomo, anche non cristiano, se si sente fratello, può dirsi discepolo di Cristo. Il suo è un umanesimo per tutti. Senza alcuna esclusione”.
Jessica Bianchi

 

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