“Non so perché le ho uccise”

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In quel comune a pochi chilometri a nord di Modena, colpito pesantemente dall’alluvione del Secchia del gennaio 2014, si erano magari registrati furti negli ultimi anni, ma la violenza che ha rotto la quiete e la quotidianità di questo lunedì appare come un elemento estraneo. In una comunità così contenuta, distribuita tra poche vie che si incrociano e costeggiano i campi, tutti si conoscono e si danno una mano.  “Non ci credo ancora”, è la risposta più frequente fornita da chi, a Gorghetto, ha sempre vissuto e le telecamere le aveva viste arrivare solo un anno mezzo fa, nei terribili giorni dell’alluvione.  E’ crollato dopo lunghe ore di interrogatorio, quando era già chiaro che a uccidere Irene Tabarroni, pensionata di 92 anni, e Francesca Marchi, 52enne insegnante nella Scuola d’infanzia Le Chiocciole di via Nicolò Biondo a Carpi, non poteva che essere stata una persona a loro molto vicina. E’ stato Francesco Grieco, 53 anni, genero della prima e marito della seconda, ad assassinare le due donne con cui abitava nella villetta di campagna di via Padella.
Era stato lui stesso a dare l’allarme ai Carabinieri, dicendo di essersi alzato e di averle trovate senza vita. Entrambe erano nel proprio letto, a poche stanze l’una dall’altra. La madre colpita da un oggetto appuntito che le ha sfondato il cranio. La figlia, con ogni probabilità, strangolata. Ma non c’erano segni di effrazione agli ingressi della casa, e anche tutti i locali erano risultati in ordine. Non reggeva, insomma, l’ipotesi di una rapina degenerata e i sospetti si sono presto addensati sul 53enne, ex guardia giurata e poi custode di una struttura alberghiera negli ultimi anni.
I vicini, interpellati dopo il terribile fatto di sangue, hanno subito ricordato le tensioni di cui viveva la famiglia di Grieco, con litigi all’ordine del giorno che però non erano mai sfociati in qualcosa di realmente preoccupante. Ai Carabinieri e al magistrato, il 53enne avrebbe detto di aver agito d’impulso, volendo anche uccidersi dopo essersi reso conto di aver posto fine alla vita della moglie e della suocera. Ma di non aver avuto il coraggio di farlo.  Risulta che il lavoro fosse diventato un problema per l’uomo ultimamente, secondo quanto riferisce il suo legale Enrico Aimi.
Avvocato, il suo assistito si è assunto la responsabilità di ogni fatto?
“Si è assunto la responsabilità mentre continuava a domandarsi perché. Io ho avuto l’impressione di una persona molto confusa. Questi delitti non hanno quasi mai una spiegazione perché ci sono comportamenti che non trovano riscontro: era una famiglia che andava d’accordo, lui era innamorato della moglie e credo che la cosa fosse reciproca, aveva un buon rapporto con la suocera. Credo si sia trattato di un raptus non per gelosia: ci sono cose che non si spiegano con la ragione e appartengono alla sfera dell’irrazionale”.
Un raptus dunque?
“Questo è il classico caso in cui la parola raptus può essere utilizzata con appropriatezza: non c’era un solo elemento che potesse lasciar trasparire una motivazione diversa, non c’erano ragioni particolari. Poi teniamo presente la condizione di frustrazione in cui si trovava il mio assistito: è bene che si sappia per evitare chiacchiere, mezze verità e leggende, che alla fine voleva farla finita con la propria vita anche lui ed eliminare l’intero nucleo familiare. Queste cose purtroppo avvengono ma senza un perché e credo che potranno dare un contributo il medico legale e uno psichiatra con una consulenza di alto livello per capire se, al momento dei fatti, vi fosse capacità di intendere e volere oppure no.  Non c’è un movente particolare, non ci sono problemi economici, né problemi di tipo sentimentale”.
E’ vero che ha tentato di rianimare la moglie?
“Oltre ai bigliettini scritti prima di tentare il suicidio che poi non avuto il coraggio di portare a termine, resosi conto di ciò che era avvenuto, ha cercato invano e ripetutamente di rianimare la moglie. Io ho evidenziato la necessità di verificare se sulle labbra della povera moglie ci siano tracce di saliva o elementi che possono confermare questo particolare, che è molto importante. Non cambia la gravità dell’episodio ma può far comprendere il cortocircuito nel quale era finito il mio assistito”.


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