“Esiste più di un modo per affrontare un problema di salute. La cosa più importante è conoscere le varie opzioni a disposizione e scegliere quella che si ritiene più giusta per sé. Sapere è potere”. Parola di Angelina Jolie, star internazionale che, dopo essersi sottoposta, due anni fa, a una mastectomia preventiva bilaterale, si è fatta ora rimuovere le ovaie e le tube di Falloppio. “Nel mio caso – ha spiegato l’attrice – gli specialisti di medicina orientale e occidentale che ho consultato si sono detti concordi: tale opzione era la preferibile perché, oltre al fatto di essere portatrice del gene Brca, tre donne della mia famiglia sono morte di cancro…. E’ impossibile azzerare ogni rischio e, dunque, io resto esposta al tumore ma io mi sento donna, una donna che, con i piedi per terra, ha preso decisioni che riguardano tanto lei quanto la sua famiglia. So che i miei figli non dovranno mai dire: Mamma è morta di cancro alle ovaie”. Una decisione che ha fatto e continua a far discutere: scelta sacrosanta e consapevole o mutilazione della femminilità? Lo abbiamo chiesto al dottor Fabrizio Artioli, direttore dell’Unità operativa oncologica dell’Ospedale Ramazzini di Carpi.
Come giudica la scelta della Jolie?
“Credo che queste siano scelte individuali e, in quanto tali, debbano essere rispettate. Ogni donna deve essere adeguatamente informata circa i vari percorsi di cura. Considerata la delicatezza di tale opzione oltre al personale medico è poi fondamentale l’apporto degli psicologi come previsto anche dai protocolli internazionali. La scelta di sottoporsi a una mastectomia o a una ovariectomia è frutto di un lungo percorso, costellato di colloqui con specialisti e dopo aver soppesato con grande attenzione i pro e i contro”.
Crede che l’eco mediatica scatenatasi possa essere utile per informare meglio le donne su questi delicati temi?
“I mass media oggi hanno un ruolo molto importante anche nella diffusione delle informazioni scientifiche e, in generale, svolgono un ruolo di informazione corretta al servizio della comunità soprattutto quando si parla di prevenzione, una delle armi più potenti a nostra disposizione per quanto riguarda l’importanza di sottoporsi alle campagne di screening e di adottare sani stili di vita. Quando i media, al contrario, si concentrano su un singolo caso, le cose si complicano, poiché non tengono conto del fatto che sono numerose le donne che vi si possono identificare. Ogni storia è a sè stante. Ha la sua evoluzione interroga in modo differente… Il rischio è che se non correttamente informate, in queste donne si possano generare ulteriori ansie e timori”.
Esiste un rischio emulazione?
“Fortunatamente nel nostro Paese c’è una filiera di controllo molto stringente. La nostra Regione, in particolare, è all’avanguardia e si è dotata di un protocollo esclusivo di controllo e screening per le donne che hanno un rischio ereditario, le quali vengono prese in carico dal sistema sanitario. Nessuna di loro è lasciata sola. Ogni decisione viene presa con l’aiuto e il sostegno di professionisti formati in modo specifico. Ogni donna deve poter trovare sempre una persona competente con cui parlare: la cosa peggiore che possa capitare infatti è essere lasciata sola ad ascoltare notizie che possono creare turbamento”.
In cosa consiste la mutazione genetica che predispone l’insorgenza di neoplasie al seno e all’ovaio?
“Quando uno di questi geni – Brca1 e Brca2 – è alterato, non svolgendo più la propria funzione che è quella di difendere il dna, le cellule della mammella e dell’ovaio sono più predisposte a sviluppare un tumore al seno (il rischio è del 60%) e un carcinoma all’ovaio (40%). Questi tumori, cosiddetti ereditari, rappresentano solo il 5% dei tumori mammari quindi, in Provincia di Modena, ammontano a 25/30 casi all’anno, mentre il numero complessivo di tumori al seno (ormai stabilizzato) è di circa 600 ogni anno (fonte Registro tumori della provincia di Modena del 2011) un terzo dei quali riguardano donne residenti nell’Area Nord, ovvero Carpi e Mirandola. La nostra provincia, così come tutta la Regione, è attrezzata e molto attenta. Esiste una rete organizzata per eseguire rigidi controlli: il test, che consta di un semplice prelievo di sangue, viene fatto esclusivamente a donne considerate ad alto rischio, ovvero quelle che hanno già avuto un particolare tipo di tumore (cosiddetto “triplo negativo”) sotto i 40 anni oppure altre tipologie sotto i 35 o, ancora, coloro che hanno una fortissima familiarità, quindi casi di parenti di primo grado (madri e sorelle) malati”.
Tra le donne portatrici di geni Brca1 e Brca2 alterati, quante optano per una mastectomia e la rimozione delle ovaie?
“Tra le donne da noi seguite che hanno scoperto un’alterazione dei geni Brca1 e Brca2 dopo essersi ammalate di tumore, sta aumentando il numero di quelle che si sottopone a interventi preventivi. Impossibile però dare dei numeri certi in quanto il Protocollo di sorveglianza e monitoraggio creato ad hoc è stato attivato soltanto nel 2012. Tra le donne portatrici del gene – sottoposte a controlli ravvicinati e sotto strettissima sorveglianza – che non hanno la malattia ma solo la predisposizione a svilupparla invece, la percentuale che ricorre all’asportazione di seno e ovaio è bassissima: la letteratura scientifica internazionale parla del 2-3%”.
La decisione di rimuovere l’ovaio e la sterilità derivante costringe le donne a confrontarsi anche col delicato tema della maternità.
“Tali interventi pur essendo demolitivi rappresentano l’arma più efficace per evitare di incorrere nella malattia ma, certamente, devono poter – quando possibile – coniugare il desiderio di maternità delle donne che hanno deciso di ricorrervi. Alle donne che desiderano dei bambini voglio ricordare che, anche se hanno avuto un cancro, la gravidanza non costituisce un fattore di rischio e, quindi, possono portarla a termine e, successivamente, decidere di intervenire chirurgicamente”.
Jessica Bianchi