ImmortAli

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Niente può fermare il destino. E solo agli immortali è concesso di scegliere il modo per eseguirlo. Il Carpi sceglie una perfida, travolgente, meravigliosa ondata di calcio barbaro per finire di uccidere il campionato: prima fulmina il Vicenza in velocità, e poi resiste al suo ritorno e alle sue pantomime; infine, sgretola il Bologna passeggiando sulla sua superbia. In realtà, la partita più importante di sempre, aveva cominciato a vincerla circa tre mesi prima, esattamente il 28 gennaio, quando l’ex allenatore  Giovanni Galeone dichiarò che “non esiste il Carpi davanti al Bologna. Al massimo può chiedere di giocarci un’amichevole”. In buona parte è qui il segreto del successo biancorosso: nessuno può permettersi di sottovalutare questa squadra senza farla franca. È il più grande favore che possa fargli. E non verrà ricambiato. Anzi.
È accaduto davvero quello che temeva Galeone, “il mondo che si rovescia”. Stiamo assistendo a qualcosa di molto più grande di un risultato sportivo unico in un secolo di calcio. Siamo di fronte all’uomo sulla luna: un confine che cade, la frontiera che si estende, regole che vanno riscritte. Il Carpi è andato oltre il mero gusto di sorprendere, sta facendo qualcosa di ben più illegale che vincere il suo primo campionato di B. Sta disarticolando il sistema. Tutto insieme è costato quanto il netto di Philippe Mexes, cioè un errore del Milan. Dieci-quindici volte meno del Bologna. Sta dimostrando che il calcio può non essere solo dei ricchi. Che non necessariamente sono i soldi a battere altri soldi. Ma sono le idee, le competenze e soprattutto le motivazioni che fanno la differenza. Bastano le piccole storie degli ultimi quattro protagonisti decisivi per sintetizzare la grandezza di questa immensa rivoluzione sportiva, cominciata in silenzio e poi deflagrata in un rumore che ha finito per spaventare i Palazzi e le cricche che ci abitano (da Lotito ai suoi derivati).
Lasagna è un ragazzo di Po cresciuto brado, tra rive e mollenti, senza regolare scuola di calcio. Lo scartarono praticamente tutti. È un predestinato, ma non lo ha capito nessuno. Nell’alto Veneto ci ha giocato a lungo, ma quasi solo su terreni di cui non volete neanche sapere il nome e il colore dell’erba. Finchè, alla resa dei conti della prima stagione professionistica della carriera, lo Sceneggiatore scrive un copione per lui sul campo che ha germogliato due dei quattro palloni d’oro italiani (Paolo Rossi e Roberto Baggio). Lui prende, ringrazia e distrugge il Vicenza. In estate, il suo procuratore (Briaschi, che è vicentino doc) gliel’aveva offerto gratis. Respinto con perdite. È stato pagato 11mila Euro. Ora vale almeno 100 volte tanto.
Sei anni fa Pasciuti deve comprarsi il cartellino: la Biellese fallisce ma non gli rilascia il nullaosta. Ne mette di suo, chiede persino un prestito ai futuri suoceri. Pochi mesi dopo è di nuovo a piedi: il Pisa lo ha letteralmente lasciato per strada, tanto che Giuntoli lo firma al casello di Versilia. Qualche ora prima si era proposto alla Carrarese, la sua squadra del cuore. Ma gli fu detto che il grande calcio non è per gente misurata sotto il metro e ottanta. Bene, l’anno successivo ne sarebbe stato eversore, nel testa-a-testa per il titolo di Seconda Divisione. Oggi è a un passo da un record ineguagliabile: se lo farà in A con il Carpi, diventerà l’unico giocatore della storia del calcio italiano a segnare con la stessa maglia nelle prime cinque categorie.
Lollo è un caso ancora più eclatante di rottamazione che distrugge il Karma per quanto è inopportuna. Era l’idolo della Curva Ferrovia, il cuore pulsante del Golfo dei Poeti di La Spezia. Non banalmente ci è cresciuto dentro, ha unito il suo sangue a quello dei tifosi. E poi ha corso per loro. Un giorno però, senza troppe spiegazioni, la dirigenza, anziché un nuovo contratto, gli porge l’incentivo all’esodo: “sei stato molto importante, hai lottato come pochi altri in campo. Ti chiediamo perciò un ultimo sacrificio per la nostra causa: riesci a trovarti una squadra e liberare il posto?”. Quella stessa dirigenza, a tutt’oggi, è alla ricerca di un tuttocampista che sappia cambiare il passo alle partite. Se l’avesse, in questo campionato arriverebbe seconda sbadigliando.
Di Gaudio e Letizia (sono un bond indissolubile, vanno raccontati insieme), infine, sono la testimonianza che una seconda opportunità esiste per tutti, basta volerla con ferocia. Vengono da due ghetti difficili, due posti dove se vi ci trovate per sbaglio la cosa migliore che potete fare è andarvene. Di Gaudio viene scoperto da Schillaci tra i ciottoli della Vucciria, dove dribbla tutti e riceve qualche mancia dagli allibratori che scommettono su di lui (e regolarmente vincono). Letizia fa più o meno la stessa routine sotto Le Vele di Scampia, ma non viene scoperto da nessuno. Piuttosto, è lui che scopre il cadavere di un tossicodipendente su cui finisce il pallone durante una partitella. Totò e Gae hanno una ragione più di noi per ritenere che il pallone sia il gioco più bello del mondo: gli ha salvato la vita.
Qui sta il messaggio. Attenzione tuttavia alle conseguenze. Il Carpi non è un modello replicabile: Giuntoli è uno solo, non ha cloni. Per fortuna. Chi non ce l’ha, può provare a inseguirlo, ma non ad essere come lui. Perderebbe solo del tempo. L’intero movimento però ha interesse a studiare questa squadra, e il diritto di prenderne la lezione. È quella giusta. È l’opportunità che si nasconde dietro la crisi.
Per vincere bisogna avere il coraggio di sognarlo e poi la fame di svegliarsi. Senza bastarsi mai. È questa la diversità di questi ragazzi. Non si sono accontentati. Non si sono accontentati di riscrivere daccapo una Storia di calcio lunga oltre un secolo. Non si sono accontentati nemmeno di trasformarla in Leggenda. Hanno preteso di sigillare il Tempo, e di fermarlo. Trovargli un soprannome plurale e imperituro, adesso, è facile. Da oggi, e fino a quando li racconteremo a nostri nipoti, e loro ai carpigiani che verranno dopo, non avremo mai un dubbio. Li chiameremo Immortali.
Enrico Gualtieri
 

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