La geografia delle cosche in Emilia: e Carpi?

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Una storia lunga oltre 30 anni, è questo il tempo impiegato dalla cellula dell’ndrangheta stroncata dalla Dda di Bologna a svilupparsi e radicarsi in Emilia.  La storia parte il 9 giugno 1982, data in cui il boss Antonino Dragone arriva in Emilia Romagna  è allora che viene concepito il gruppo emiliano. In 30 anni, si è sviluppato ed è cresciuto come una metastasi, partendo da Reggio Emilia. L’organizzazione si è prima insediata e strutturata nel territorio, inquinando diversi settori dell’economia a partire dall’edilizia sino ad arrivare a toccare consulenti, amministratori e dirigenti pubblici, appartenenti alle Forze dell’ordine e giornalisti. Modena è stata solo sfiorata  dal fenomeno fino a quando non è iniziato il grande affare legato alla ricostruzione post-terremoto. L’arrivo nelle nostre province della criminalità organizzata viene fatto risalire al periodo nel quale fu massiccio l’invio di soggiornanti obbligati in Emilia e al contemporaneo aumento dell’immigrazione dal Sud. A rimorchio di chi cercava lavoro arrivava anche chi cercava di sfruttare lo spazio che le città di medie dimensioni offrivano per la delinquenza organizzata, spazio che nasceva dalla relativa prosperità e dall’esistenza di un sottoproletariato determinato dall’eccesso di domanda rispetto all’offerta di lavoro.
Sassuolo fu per due anni la città di Gaetano Badalamenti, tra il ’74 e il ’76: era il capo riconosciuto della cosca che negli Usa era collegata a Carmine Galante e manovrava ogni illecita attività nella zona di Modena in  concorrenza con Leoluca Bagarella e il clan Riina.
Dal 1961 al 1995 sono stati almeno 3.562 gli appartenenti alle cosche mafiose confinati con soggiorno obbligato in Emilia Romagna, con una prevalenza nelle province di Forlì, Rimini, Parma e Modena.
L’Emilia Romagna è stata sempre una terra che ha fatto – e fa – gola alla malavita organizzata, tanto da provocare in alcuni casi vere lotte tra le diverse fazioni per il controllo del territorio, come nel caso del clan dei Casalesi. A metà degli Anni Ottanta, con l’arrivo del boss Giuseppe Caterino, Modena diventò la sede distaccata del cartello camorristico di Casal di Principe. Nel 1991 Modena scoprì la violenza del clan con un regolamento di conti sfociato in una sparatoria. Fu l’innesco di una guerra che fece numerose vittime e, alla fine, proclamò un vincitore: Francesco Schiavone, detto Sandokan, il quale  impose il suo impero sul territorio emiliano fino al famoso processo Spartacus che si chiuse con sedici condanne all’ergastolo per altrettanti boss, tra cui Francesco Schiavone, Michele Zagaria, Antonio Iovine, Giuseppe Caterino e Raffaele Diana. Quest’ultimo, latitante fino al 2009, viveva a Bastiglia con la moglie e quattro figli. Nel modenese avrebbe gestito estorsioni e l’indotto dell’edilizia. Diana era stato accusato di essere il mandante dell’agguato all’imprenditore edile Giuseppe Pagano – originario di Caserta, a Modena da trent’anni – gambizzato nel 2007 in un cantiere di Riolo di Castelfranco. L’Emilia, malgrado la crisi economica, rimane una delle regioni italiane con il reddito più elevato. Deve il suo successo a uno sviluppo omogeneo dei vari settori produttivi sia industriali che agricoli e alla presenza di piccole e medie imprese; intensi scambi commerciali e un turismo fiorente completano il quadro. Così come notevoli potenzialità di espansione e arricchimento sono rappresentate dalle grandi opere realizzate e da realizzare quali l’Alta Velocità, le tangenziali, le nuove corsie delle autostrade che interessano le province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna. Potenzialità che non potevano certo rimanere ignorate dalla mafia. E in tutto questo turbinio di arresti e sequestri come si colloca Carpi?  Al momento pare esserne fuori. Non un’isola felice, ma una realtà dove la criminalità organizzata sembra abbia fatto più fatica ad attecchire. I motivi? Difficile dirlo. Forse il tessuto economico del passato fatto di tanti piccoli laboratori artigianali a conduzione familiare e più difficilmente infiltrabili. L’assenza di grandi aziende e quindi un’immigrazione meno invasiva. Un tessuto sociale sostanzialmente sano.  La città dei Pio in passato ha ospitato soggiornanti obbligati e personaggi legati alla malavita che però hanno preferito, spesso, fare affari al di fuori della zona dove erano costretti a vivere. E’ chiaro, però, che non bisogna abbassare la guardia e alcune intercettazioni della recente operazione Aemilia hanno confermato come anche la ricostruzione post-terremoto di Carpi risultasse appetibile ai clan.
Pierluigi Senatore
 

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