“Non sono contraria a priori a una modifica dell’orario scolastico nelle scuole medie” esordisce Maria Cristina Verrini che, dopo una iniziale ritrosia, accetta di parlare dell’argomento. E’ stata insegnante e, successivamente, preside presso le medie Focherini di Carpi fino al 2007 quando ha deciso di andare in pensione, girando pagina dopo aver speso tante energie e risorse nella scuola. “Occorre coordinare i tempi dei genitori e quelli degli alunni, perché qualsiasi proposta possa funzionare. Bisogna valutare se si intende preservare il momento tradizionale del pranzo in famiglia, che ha una sua importanza come momento di riunione familiare e che lascia aperto lo spazio a un eventuale dialogo o se la giornata deve essere scandita dai due momenti forti della colazione e della cena, come nel modello anglosassone” chiarisce Verrini che reputa comunque imprescindibile, in entrambi i casi, un momento di riposo e svago per i ragazzi di quella fascia d’età (11-13 anni) dopo le ore di lezione. “Dal 2000 le scuole hanno una propria autonomia amministrativa, didattica e organizzativa che è un elemento fondamentale nel processo di riforma ma, nello stesso momento, non è stata concessa la possibilità di gestire le risorse e il personale, tarpando le ali alla spinta innovativa e congelando le potenzialità che con l’autonomia si sarebbero potute esprimere” commenta Verrini. Nella scuola tutto è troppo rigido: gli orari scolastici si costruiscono per materie e devono fare i conti con organici ridotti all’osso, con le legittime esigenze degli insegnanti, con la necessità di costruire un’alternativa all’ora di religione, con le distanze che i docenti ‘a scavalco’ devono fisicamente percorrere, con i giorni liberi di ogni insegnante… insomma volendo cambiare la situazione italiana non resta che usare tanta creatività! “La scuola deve essere fatta a misura di bambino, ma non si può solo adeguare lo deve far crescere – afferma convinta la Verrini – gli insegnanti delle medie sono specializzati coi preadolescenti e rappresentano un patrimonio di esperienza importante, bisogna amare molto i ragazzi per poter esercitare con successo e soddisfazione quello che ritengo uno dei più difficili mestieri al mondo.
Ciò premesso: la settimana corta, dal lunedì al venerdì, non è una brutta idea se vi corrisponde una complessiva sincronizzazione degli orari, una maggior flessibilità nelle discipline e se, all’interno della scuola, il ragazzo trova uno spazio rispondente alle sue esigenze. Dal punto di vista della scuola l’orario su 5 giorni permette senz’altro una migliore organizzazione oraria, la copertura delle supplenze, una distribuzione più razionale delle discipline e uno sfruttamento più razionale del tempo dei docenti, ma dal punto di vista dell’alunno?
Io penso a un tempo scolastico lungo composto non solo di discipline ma entro il quale vi sia la possibilità di studiare, recuperare, approfondire, confrontarsi e fare sport. Per far questo occorre che la scuola resti aperta, anche in orario pomeridiano, disponga di spazi adeguati e attivi una sorveglianza costante: si deve dotare di uno spazio per la mensa e utilizzare la biblioteca, la palestra, l’aula di informatica e le aule speciali e aprirsi, oltre agli insegnanti, i quali hanno un proprio ruolo e specializzazione centrale, ad altre professionalità che sono già presenti sul territorio e si occupano di recuperi o dei problemi dell’apprendimento o delle attività sportive. Quando il genitore passa a prendere il figlio non deve avere l’ansia dei compiti da fare o della verifica da preparare o non deve correre per la città per portarlo a fare sport o altre attività. Tanti ragazzi trascorrono il pomeriggio in casa da soli e tanti genitori già pagano il doposcuola.
Purtroppo la carenza di risorse non consente di volare in alto: quanto lo Stato vuole investire? Quanto hanno le scuole? Di quali risorse dispongono i genitori? La scuola vince e diventa fondamentale per il futuro dei giovani se è sostenuta da una società che crede e investe in essa, che l’aiuta nella sua opera educativa e di crescita, che non la lascia sola aggrappata a ideali che tutti giudicano importanti ma che poi la società stessa non segue. Ognuno si prenda le sue responsabilità: la scuola è espressione della società”.
Sara Gelli