Tutte le piaghe del Ramazzini

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“La vita dell’ospedale mi manca moltissimo, così come il lavoro di equipe, il confronto continuo… ma, devo ammettere, di essere molto soddisfatto. In regime di libera professione sto lavorando presso vari poliambulatori, tra cui quello di Carpi, e ciò mi consente di mantenere ben saldo un cordone con quella che reputo la mia città d’adozione, pur vivendo a Modena”. A parlare è il dottor Gabriele Greco, ex primario del Reparto di Neurologia dell’Ospedale Ramazzini, in pensione dal mese di dicembre. “Ho passato diciassette anni all’ospedale di Carpi: belli, ricchi, soddisfacenti e densi di attività. Da un piccolo servizio siamo riusciti a costruire una Neurologia moderna, con un gruppo solido di medici e infermieri. La Stroke Unit di Carpi, area dedicata al trattamento dell’ictus in fase acuta, ha rappresentato un traguardo importante per tutti noi e, allo stesso tempo, un’occasione per imparare ancor di più a fare della multidisciplinarietà il nostro modus operandi quotidiano”.  Tra le soddisfazioni del dottor Greco vi è poi la costituzione dell’associazione Alice: “un vero e proprio ponte tra territorio e ospedale.  Un’ancora di salvezza per numerosi malati e le loro famiglie e un presidio importante per quanto riguarda l’importanza della prevenzione. Avendo ora più tempo a disposizione, non ho alcuna intenzione di fermarmi: è in cantiere il progetto di aprire, presso la sede di Alice alla Casa del Volontariato, uno Sportello gratuito di ascolto e informazione. Una volta alla settimana mi presterò a rispondere alle domande della cittadinanza relativamente alla patologia e alla sua gestione”. A raccogliere il testimone del dottor Greco e a guidare la Neurologia carpigiana sarà l’amico e collega Mario Santangelo: una decisione, quella dell’Ausl, presa quindi nel solco della continuità. “Il dottor Santangelo è una colonna portante del reparto. Ben radicato al Ramazzini, lo conosce a fondo. La mia speranza è che l’azienda sanitaria non decida di snaturare il reparto per quanto riguarda l’assistenza ai pazienti colpiti da ictus: come rappresentante di Alice vigilerò il più possibile, difendendo e valorizzando la Stroke Unit.  Dai dati messi a disposizione dalla Regione si evince come la Stroke Unit sia la principale, nonché miglior cura, di ogni tipo di ictus: emorragico e ischemico, grave e non grave, in pazienti giovani e anziani. Un dato su tutti vorrei sottolineare con forza, poiché clamoroso ed emblematico: il ricovero all’interno di un’unità dedicata come la Stroke Unit rispetto ad altri reparti ha fatto registrare un risparmio, in termini di mortalità a sei mesi dall’ictus, pari al 19%”.  Questo prezioso approccio terapico, in vista di una potenziale riorganizzazione dei nosocomi per intensità di cura, potrebbe però rischiare di saltare. Storia già vista, in città, basti pensare alla trombolisi, “terapia farmacologica tempodipendente – deve essere somministrata entro tre ore dalla manifestazione di un ictus ischemico per  essere efficace – applicabile al 5/10% degli ictus ischemici per sciogliere il trombo”, iniziata al Ramazzini nel 2010, interrotta definitivamente col sisma del 2012 e mai più ripristinata. Per l’Azienda sanitaria i numeri troppo bassi di trombolisi effettuate non giustificavano i costi. Risultato: tutta l’Area Nord deve ora confluire, giorno e notte, all’Ospedale di Baggiovara. “Un errore a mio parere”, continua il dottor Greco, il quale sottolinea, soprattutto in una terapia dove la velocità è la componente fondamentale, l’importanza di mantenere una base anche a Carpi, “garantendo almeno  il trattamento di trombolisi endovenosa” e assicurando così “capillarità ed equità nella cura a tutti i cittadini dell’Area Nord”. Da tempo Greco inneggia alla creazione di una Neurologia d’Area Nord, soprattutto ora, che il sisma ha fortemente compromesso l’ospedale Santa Maria Bianca di Mirandola. Compito che, se l’Ausl desse il proprio benestare, passerebbe nelle mani del nuovo direttore Santangelo. Un’ipotesi che, a ben guardare, appare decisamente poco plausibile: il nostro grande vecchio infatti (ndr ospedale di Carpi) continua a perdere funzioni e rilevanza nello scenario della sanità provinciale. “Al Ramazzini deve essere potenziato il numero di posti in Lungodegenza e, allo stesso tempo, si deve far fronte alla cronica mancanza di posti letto nelle strutture residenziali del nostro territorio. La popolazione invecchia e, di conseguenza, aumenta progressivamente il numero di malati cronici colpiti, spesso, da pluri patologie. Completata la fase iperacuta della malattia trascorsa in ospedale, dove vanno a finire questi pazienti? La filiera dell’assistenza deve essere ampliata: se è giusto, da un lato, togliere i cronici dalle strutture ospedaliere, il territorio deve poter provvedere alle loro necessità, farsene carico”. Solo in uno scenario di questo tipo si possono inserire le Case della Salute, “luoghi che, se accetteranno la sfida di accogliere anche gli specialisti che si occupano di cronicità, potranno rivestire un ruolo coagulante tra ospedale e domicilio”. E mentre gli acuti provenienti dal Pronto Soccorso, a causa della mancanza di posti letto, sono costretti a migrare tra i vari reparti del Ramazzini, (“una piaga” commenta Greco) a latitare sono anche gli infermieri. Sempre meno numerosi. “Si ha l’impressione  che la programmazione sull’ Ospedale di Carpi sia a volte indefinita e al ribasso e ciò confligge con la rilevante qualità e le potenzialità dei professionisti medici, infermieristici e tecnici, contraddicendo le previsioni sul ruolo del nosocomio cittadino. La direzione aziendale dovrebbe ascoltare maggiormente i professionisti. Auspico che in un futuro non troppo lontano, Policlinico e Baggiovara si uniscano, in tal modo per Carpi si libererebbero maggiori risorse”, prosegue Greco. Fare i conti con la ristrettezza economica alla quale deve far fronte anche la sanità pubblica non giustifica certo il depauperamento annoso e progressivo che interessa il sistema sanitario locale. Le vicissitudini della Radioterapia (che riaprirà a fine gennaio) e gli inciampi delle sale operatorie devono far riflettere sul corretto utilizzo delle cospicue risorse messe a disposizione, la riduzione delle  quali (a causa della contingenza nazionale) rischia di minare pesantemente il modello di welfare del quale siamo andati a lungo orgogliosi, costringendo chi può a ricorrere alle offerte del privato, soprattutto per la diagnostica pesante. “E’ una sconfitta che a Carpi e altrove sarebbe molto amara, visti i livelli dai quali provenivamo, frustrando gli sforzi dei tanti protagonisti della nostra filiera della salute”, conclude Greco.
Jessica Bianchi
 

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