“Alla nobiltà della vita, i piccoli uomini (come li chiamava Nietzsche), figli dell’uguaglianza, preferiscono la consacrazione della propria”. E’ duro Umberto Galimberti, docente di Filosofia della Storia all’Università Ca Foscari di Venezia, sin dalle prime parole della sua lezione, tra le più seguite a Carpi. Più volte il professore inneggia alla “giusta misura”, al riconoscimento e all’accoglimento dei “propri limiti” per non cedere alla vanagloria e “finire così in rovina”. Antidoto alla vanagloria è, secondo Galimberti, il pensiero della morte: “stiamo un poco con la morte, non allontaniamola, perché può aiutarci a non scivolare nella presunzione, in errori di valutazione. Sappiamo che la morte è un piatto che spetta a ciascuno di noi, esserne consapevoli aiuta ad avere misura. Coscienza del limite”. Il riconoscimento della propria mortalità implica però un’altra dolorosa consapevolezza: altro non siamo che meri funzionari della natura. “La natura non ha nessun interesse per le vicende umane”, ammonisce Galimberti. “La tecnica è il tentativo dell’uomo di governare la natura, rinunciando di fatto al principio della giusta misura”. Il Cristianesimo ha fatto dell’ottimismo, della speranza nel futuro la struttura fondante dell’Occidente. “Tutti sono cristiani, anche gli atei e gli agnostici. Tutti ragionano secondo una logica ben precisa, secondo la quale il presente è redenzione e il futuro è salvezza”. Il Cristianesimo ha condannato l’uomo alla speranza. Al desiderio. Ma il dominio dell’uomo sulla terra, “reso legittimo da Dio stesso, dopo la cacciata dall’Eden, non è più sostenibile. Nell’era della tecnica, vero soggetto della storia, l’uomo che non sa tutelare e custodire la natura è destinato al fallimento (poiché la legge di natura è di gran lunga più potente della tecnica). Mantenere l’attuale tenore di vita è impossibile, pertanto è impensabile uscire dalla crisi”. L’uomo ha creduto di essere una creatura divina e padrone del proprio io ma queste considerazioni sono state gradatamente smontate. Occorre ridimensionarsi e, in fondo, conclude Umberto Galimberti, l’Occidente ha ben poco di cui gloriarsi: “la nostra cultura sta morendo per suicidio. L’ignoranza bestiale che ci circonda, così come la povertà linguistica e contenutistica del nostro tempo rappresentano la misura della nostra irrimediabile decadenza. C’è più filosofia nelle piazze che tra i banchi di scuola. Come possono nascere nuovi Einstein o Mozart se la scuola continua a essere depauperata, impoverita e trasformata in una scatola vuota?”.
J.B.