“Questa è l’epoca del consenso senza gloria. Il che ci dovrebbe perlomeno allarmare”. Inizia così la sua lezione Nello Preterossi, professore di Filosofia del diritto e Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Salerno, il quale si è a lungo interrogato sul senso della parola consenso, “una scatola vuota dal significato ambivalente. Se da un lato l’etimologia di questo termine ci rimanda al sentire insieme, al decidere di comune accordo, dall’altro, consenso, racchiude una dimensione più oscura e inquietante, quella della congiura, del complotto”. E allora la domanda che Preterossi avanza diventa pregnante: se la gloria è l’attributo maggiormente ricercato dal potere, un potere con consenso è sempre legittimo? “Chi acconsente in realtà non fa altro che reagire alla sollecitazioni dell’attore politico, quindi, anche gli strumenti di democrazia diretta, come i referendum ad esempio, sono in realtà maneggiati con cura dal potere. I cittadini si sentono protagonisti ma il vero centro decisionale è altrove: fondamentale è chi – e come – pone la domanda”. Per il professore “in democrazia dev’esserci spazio per il conflitto, il dissenso. I fini e i contenuti non possono essere già precostituiti”. Le parole di Mario Draghi, “l’Italia funziona col pilota automatico”, prosegue Preterossi, sono emblematiche: “la politica dovrebbe essere il luogo della discussione e non quello della mera applicazione. Garantire l’implementazione di politiche amministrative dettate dall’Europa e, in generale, da un mondo finanziario globalizzato, non è fare politica. Va di moda oggi parlare di governance: un inganno per tentare di nascondere il fatto che non esiste un governo. Che le decisioni vengono dettate dai poteri forti, i quali, in modo dissimulato, aggirano il dibattito pubblico democratico”. La politica oggi non esercita alcuna incidenza sulla direzione intrapresa dal Paese, si occupa semplicemente, “di fare scena, di distrarre, di accaparrarsi il consenso dei cittadini. In un contesto di crisi, la gente è irritata, frustrata e, di conseguenza, i politici diventano attori di una commedia dell’arte tesa a intrattenere un popolo che diventa pubblico della scena mediatica”. In uno scenario così avvilente, esiste una alternativa? “La politica è fatta di possibilità di cambiamento ma è necessaria la formazione di soggetti credibili. Il populismo antagonista – che semplifica e indica un nemico, spesso immaginario – non è la risposta alla crisi profonda delle democrazie occidentali, non riduce l’incidenza dell’economia sulla politica, ma non dev’essere stigmatizzato né, tantomeno, sottovalutato”. Nelle derive populiste, infatti, vi è anche il seme del cambiamento. “Chi si contrappone all’establishment deve collocarsi all’interno di un disegno organico, essere aperto alla società. Un tempo a incarnare questo ruolo erano i partiti: chi prenderà il loro posto? E’ necessario che nuovi soggetti fungano da mediatori, portando all’interno delle istituzioni, le istanze dei cittadini”. La sicurezza sociale, l’integrazione… sono alla base di un governo democratico. “Per quanto ancora la democrazia potrà reggere l’attuale tasso di disoccupazione?”, si domanda Preterossi. Il profondo senso di insicurezza e la mancanza di speranza nel futuro potrebbero far sì che i ceti popolari si consegnino a un capo autoritario. E’ quella la via d’uscita? “Certamente no, ma una politica che non vuole affrontare in modo autonomo e coraggioso i nodi dell’oggi viene strumentalizzata da altri. Personaggi forti che indicano un nemico, un capro espiatorio e, in un contesto del tutto destrutturato, raccolgono consenso”. La rabbia sorda sfalda ulteriormente le condizioni della convivenza civile, l’antipolitica se non verrà “guidata, instradata all’interno di un soggetto collettivo capace di una visione, travolgerà tutto, al seguito di un capo manipolatore”. Il panorama è drammatico e desolante, il potere economico è egemonico e la politica è sempre più fragile. Inutile. I politici non sono altro che “icone, cantastorie. Piccoli miti pop che vanno e vengono”. Una debolezza intrinseca, quella politica, alla quale, secondo Preterossi, si somma l’incapacità dei media di raccontare “la durezza della realtà. I media dovrebbero svelare, far vedere cosa c’è dietro le cavolate di cui si occupa il sistema politico, il quale si è consegnato ad altre logiche. Non chiudiamo gli occhi: i padroni del vapore esistono. Il potere economico transnazionale è ciò che detta le regole. Una politica in crisi di consenso, ridotta a chiudersi in un bunker per garantire l’applicazione di ricette che vengono dal di fuori, avrà paura del popolo”. Essere consci di tali manovre è il primo passo per costruire un pensiero critico, unica arma per combattere il consenso omologato, del tutto inglorioso, “e per immaginare, forse, un modello alternativo a un sistema politico che sta tramontando”.
Jessica Bianchi