Il Carpi resta nelle sue tenebre. Si eclissa di fronte a un Cittadella decimato che non vinceva da 9 turni. E che non ha mai dato l’impressione di poter stare in partita senza essere aiutato. Questo, in effetti, è accaduto. Ed è la notizia più preoccupante della sconfitta in sé, quarta nelle ultime 8 gare, prima in trasferta dopo tre mesi e mezzo.
SPEGNIMENTO – La squadra sembra denutrita, manca d’autonomia. E’ un malessere buio, una clessidra corta e oscura. Comincia in automatico, per inerzia naturale, usa senza risparmio tutti i granelli che ha. Poi, esaurisce di colpo, senza dare preavviso. E si offre all’avversario. Questo significa che ha smarrito le sue qualità migliori, le prerogative essenziali di quest’epoca vincente e sorprendente sulla base di cui s’è guadagnata l’attenzione e il rispetto di tutto il calcio italiano: logorare l’avversario sulla corsa, e allo stesso tempo costringerlo a pensare. Adesso finisce prima della gara, quindi non riesce più a sfinire nessuno. Sta diventando facile affrontarla: non serve più tanta gamba né buone idee, basta aspettarne l’errore. Appena ne commette uno, esce di scena. Il problema non è dunque il gioco, o comunque non è il più evidente. Sono i giocatori a spegnersi improvvisamente.
ESONERO – Paga tutto il conto Vecchi, senz’altro oltre i suoi effettivi demeriti. Paga per sé, per limiti di morbidezza e tempismo scambiati per inadeguatezza. Paga perché indebolito dalle critiche eccessive, dai fischi ingenerosi e dalle ambizioni inquiete di Bonacini. Ma paga anche per i giocatori, e questo non li salva affatto nel merito, né li alleggerisce. Anzi, li sovraccarica di responsabilità. L’immaturità, il noviziato della maggioranza di loro rimarrà in discussione anche sotto una guida più navigata. L’inesperienza di Vecchi è stato un comodissimo alibi dietro cui nascondere l’inesperienza dell’intero ambiente. Adesso che non c’è più, tutto il Carpi verrà pesato al netto di ogni tara.
QUESTIONI APERTE – Come ogni esonero, intende funzionare da scossa per smuovere la palude emotiva in cui ci si è cacciati. Una faccia nuova, un pensiero diverso, sensibilità e parole mai sentite aiutano quando bisogna ricomporre equilibri relazionali e motivazionali, oltre che tecnici. Certamente il Carpi ha urgenza di riavere presto il carisma dei più bravi, chi più chi meno in crisi: Pesoli e Porcari non stanno giocando da leader, Sgrigna non ha posto, Ardemagni soffre d’abbandono, Memushaj è svilito dal ritmo dei compagni che non è più il suo. Ma esiste davvero un vestito tattico alternativo ai triangoli e alle ripartenze di Vecchi per metterli tutti d’accordo? Come conciliare il violino rock di Memushaj al tango placido di Sgrigna? Chi dei due porta il pallone? Si può rinunciare all’aggressività ubiqua di Lollo senza perdere troppo peso? Porcari è in grado, da solo, di legare le due fasi di gioco? Come migliorare la qualità dei rifornimenti per Ardemagni? Avvicinandogli un secondo attaccante e/o un trequartista? La difesa a 3 può essere una soluzione stabile? E se sì, Pesoli saprà guidarla senza essere esposto in velocità?
PILLON – Le risposte toccano dunque a Giuseppe Pillon. Comincerà da un trittico tosto: Novara, Avellino (infrasettimanale) e Latina, avversari di qualità diversa ma tutti molto fisici e in salute. Soprannome: Bepi. Storia professionale: 22 anni di mestiere, 18 esperienze, 14 società, incarichi in tutti i primi 6 livelli del calcio italiano, 4 promozioni, 1 retrocessione, 1 Panchina d’Argento, 7 esoneri. Ha insomma conosciuto tutto quello che il pallone può darti e toglierti. In principio fu apostolo del 4-4-2 dinamico (Zona pressing, linee corte, massimo sfruttamento delle catene laterali, grande investimento sulla mobilità degli attaccanti); in età matura si è decisamente convertito al relativismo utilitaristico. Tatticamente ha giocato qualunque cosa. Segni particolari: 1) baffo della marca trevigiana, figlio di Preganziol, terra fertile e orgogliosa, di fiumi e di uomini razza Piave, nati per difendere la trincea ultima; 2) una somiglianza suggestiva con Brini. Lo ricorda nel look, nel modo di sorridere silenziosamente al calcio, e nella capacità di dire cose a mezza voce, semplici e quasi sempre inattaccabili. Il meglio l’ha dato non esattamente ieri, ma quattro lustri fa. Nell’unico contesto che gli ha garantito un progetto (che qui non avrà, essendo a libro paga per soli 4 mesi), come del resto Sacchi e molti altri post-sacchiani della prima ora: ovvero dietro casa, a Treviso, dove vinse tre campionati consecutivi, dalla D alla A. Un record assoluto e imbattibile, difficilmente eguagliabile.
IL RISCHIO – Ma attenzione, questo esonero non costa zero. Produce anche molte conseguenze pericolose. La più importante, che riassume le altre, riguarda l’obiettivo: da adesso in avanti è fuori da qualsiasi dubbio, semmai ne fosse rimasto uno, che la salvezza non accontenta la società. Nessun riposizionamento di facciata riesce più ad essere credibile. L’ultimo velo sui playoff è caduto: non possono più essere intesi come una piacevole possibilità. Sono, a tutti gli effetti, una pretesa. Altrimenti 39 punti in 29 partite sarebbero bastati eccome a Vecchi per essere difeso fino in fondo, malgrado i malumori e gli ultimi risultati poveri. Qui sta il vero rischio del cambiamento. Se il gruppo è andato in tilt perché schiacciato dalle aspettative, questa scelta non lo tutela affatto. Al contrario: ribadisce, amplifica la pressione. E’ questa la missione più difficile per Pillon. Dimostrarci che non è vero che il Carpi sia cresciuto troppo in fretta. Ma sì, che il suo predecessore non ha avuto abbastanza forza per finire di crescerlo.
Non ci resta che fargli il nostro in bocca al lupo. Interessato, dunque sincero. Senza dimenticare il saluto più sentito a Vecchi, il cui lavoro rimarrà indelebilmente serigrafato nella Grande Storia del Carpi. Insieme alla magia di un mezzogiorno di novembre in cui il Braglia è caduto ai suoi piedi. E i carpigiani, tutti, si sono sentiti parte di una comunità come poche altre volte nel passato recente. Di cuore, grazie.
Enrico Gualtieri