La Carpi della musica raccontata in un libro

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Le nostre zone, così come tutta l’Emilia, possono vantare un’importante vitalità musicale che spazia dal pop alla lirica, dal rock al jazz. Oltre ai grandi e grandissimi nomi – da Pavarotti a Vasco al Liga, passando per Dalla, Nek e Guccini – la scena è fervente anche sotto il profilo giovanile. Basta citare Matteo Macchioni, il giovane tenore di Sassuolo rivelazione di Amici, o Fabio Santini, che si sta facendo valere a X Factor per comprendere come la tradizione musicale e canora made in Provincia di Modena sia tutt’altro che tramontata. Ed è proprio alla scena musicale carpigiana che è dedicato On fire. Una storia mai raccontata!, il libro di Maurizio Dente che uscirà a inizio primavera. L’autore, classe 1984, è rientrato a giugno dalla Svizzera, dove ha vissuto e insegnato per tre anni, e ora è docente di Religione presso le Scuole Medie di Marzabotto e Vergato perché, come dichiara lui stesso: “il richiamo della mia terra, a un certo punto, è stato più forte di qualsiasi altra possibile considerazione di tipo economico”. Socievole ed estroverso, il secondo amore di Maurizio è, oltre la musica, quello per la pittura e il collage. Dipinge sin dall’età di 12 anni ed è un grande appassionato di Dadaismo tanto che, lo scorso anno, ha avuto l’onore di collaborare per l’ideazione, nella fase iniziale, del centenario del movimento.
Maurizio com’è nato il suo amore per la musica?
“Tanti anni fa mia madre lavorava presso i genitori di un componente dei Ladri di Biciclette. Io ogni tanto andavo con lei e mi capitava di stare con loro mentre provavano, o comunque li ascoltavo, stando nel cortile a giocare a palla. Un bambino di 5 anni che ascolta per la prima volta Dr. Jazz and Mr. Funk, non può che restarne meravigliato, forse da lì qualcosa è cambiato. Per me quello fu il giorno in cui vidi la luce”.
Il tuo genere musicale preferito?
“Amo il Blues e la musica che racconta qualcosa di chi l’ha scritta, del suo provare gioia, tristezza o rabbia, non quella banale o superficiale. Sono un grande fan dei Metallica e dei Pink Floyd, ma il mio pezzo preferito resta Purple Haze di Jimi Hendrix”.
Perché ha deciso di scrivere questo libro?
“L’idea è nata una sera dell’inverno scorso, mentre ero a casa mia, a Zurigo. Ho vissuto il terremoto da lontano, ma con grande ansia e preoccupazione. Quella sera continuavo a pensare alla mia terra tartassata, prima dalla crisi economica e ora, come se non bastasse, anche dal terremoto, e io come uno scemo ero lontano da casa. Da lì la voglia di fare qualcosa per i miei amici e compagni di suonate. On Fire potrete trovarlo nella librerie di Carpi e stiamo lavorando alla presentazione, eventualmente con un personaggio della musica italiana”.
Chi sono i musicisti che ha scelto di raccontare?
“Sono 25, rappresentanti di molti dei gruppi della nostra zona. Alcuni, come Stefano Muscaritolo o Martina Guandalini, vivono ora a Baku o New York, e ci sentiamo via mail per completare il lavoro. Poi Maximilian Parolisi, Gianluca Magnani, Matteo Sacchetti, Carlo Alberto Colombini, Manu Noiz, Fillus Tusberti, Riccardo Maccaferri, Christian Donelli, Oleg Egon Brando, le sorelle Martina e Giulia Guandalini, Stefano Muscaritolo, Nicholas Merzi, Francesco Iron Bevini, Francesco Tramontano, Alan La Manna, Federico Truzzi, Francesco Morri, Lino Stevanin, Francesco Zanarelli, Enrico Mescoli e altri ospiti come Dafne D’Angelo. Tra i più esperti, considerati quelli della ‘vecchia guardia’, cito, tra i tanti, Oleg Egon Brando che, con i suoi Coffee Overdrive, propone un hard rock carico e mai banale, oppure Federico Truzzi con gli Sleeping Romance, metal sinfonico, attualmente in tour europeo. Da citare, tra i giovani, Manu Noiz, dei Noiz Lab, band emergente carpigiana che propone alternative rock. Nel libro compare dunque una vasta gamma di generi, dal nu-metal alla musica leggera italiana. In questo modo viene coperto anche un ampio spazio cronologico della storia della musica moderna da cui questi giovani musicisti traggono ispirazione”.
Qual è l’intervista che ricorda con maggior piacere?
“Certamente quella con Manu Noiz e Fillus Tusberti. E’ stato bello intervistarli, sentire con quale consapevolezza e padronanza sono riusciti ad articolare le risposte. Il libro racconta sì le storie di questi giovani musicisti, ma ha preso la forma di una vera e propria storia della musica. Attraverso gli occhi di questi ragazzi, leggerete dei sogni di una generazione, della voglia di cambiare e dare nuovi input a questa società che, troppo spesso, si dimentica da dove viene e nella quale molto spesso è l’apparenza a contare più di tutto il resto. Vorrei inoltre sottolineare che il libro è autoprodotto, perché essendo un modo per ringraziare quanti, in questi anni, non hanno mai smesso di credere in noi, non vuole avere alcuno scopo di lucro! Tutti coloro che hanno collaborato – tra cui Sofia Leone, Alessia Braglia e Vincenzo Daniele – lo hanno fatto gratuitamente”.
Come definirebbe la scena musicale del territorio?
“Molto prolifica: ne sono usciti musicisti di calibro nazionale e non, che suonano ora con i grandi big della musica italiana o compongono musica per teatri internazionali. Persone che hanno sempre creduto nel grande potere della musica, che hanno lavorato con costanza e diligenza negli anni e hanno realizzato il loro sogno: stare sul palco! C’è però un problema che parte innanzitutto da alcuni gestori di locali. Oggi si pensa che tutti coloro che fanno musica vogliano stare sul palco di X Factor o partecipare a una di queste trasmissioni televisive, nei confronti delle quali chiarisco in ogni caso di non aver nulla in contrario: la conseguenza è la nascita di contest a pagamento. Proponendo questo genere di concorsi non si fa altro che portare avanti una filosofia che con la musica ha poco a che fare. Per quanto mi riguarda non è così che si dà la possibilità ai giovani di farsi le ossa, di crescere e fare esperienza. Con questa mentalità si banalizzano musica e musicisti, riducendoli a ingranaggi di un grande meccanismo da manipolare a piacimento. Inoltre mancano gli spazi per far suonare le band e ci sono difficoltà a ottenere i permessi per esibirsi in spazi pubblici, come nel ricevere aiuto da enti pubblici che preferiscono finanziare eventi con personaggi affermati, piuttosto che fermarsi ad ascoltare i giovani talenti. A cosa sono servite le rivoluzioni culturali degli Anni Sessanta, se poi gli stessi uomini e donne che allora protestavano e chiedevano un cambio di mentalità nelle piazze, oggi siedono su troni d’oro e si dimenticano dei giovani? Abbiamo guardato prima l’America, poi l’Inghilterra, e abbiamo finito per dimenticarci di cosa noi italiani siamo capaci”.
Marcello Marchesini