“Sono consapevole che i carpigiani vorrebbero vedermi bruciare per risolvere il problema piuttosto che perdere tempo per capire che la questione è più complicata di come sembra. Se è possibile vorrei partire con una premessa: non fate di tutta l’erba un fascio. Qui dentro c’è sicuramente chi ruba, ma non siamo tutti uguali. Venite ad appurare coi vostri occhi: qui non si spendono soldi da anni e non è vero che il Comune ci dà trenta euro al giorno”. Se è vero che, entrando, sembra di stare in un altro mondo, è pur sempre Carpi anche questa fetta di terra in cui risiedono i dannati sinti. Non solo sinti ma anche gagi, due ragazze italiane e una pakistana. “Pensavo che sposando una ragazza italiana mi sarebbe stato più facile uscire da questo posto e iniziare una nuova vita e, invece, sono ancora qui con tutta la mia famiglia. Voi pensate che noi vogliamo starci in questo campo, ma non è così”. Nella mobil home, di quelle prefabbricate, a cui ci ha abituato il terremoto, c’è un tavolino con una panca che corre intorno, una cucina, la stanza matrimoniale, la camera dei bimbi, il bagno con il lavandino e la doccia. Tutto in 25 mq lindi e puliti, mentre fuori ci sono degrado e sporcizia.
“Ci era stato consigliato di comprare un terreno per poter fare una microarea e uscire da qui: così qualche anno fa, con tanti sacrifici, abbiamo acquistato un pezzo di terra tra Carpi e Rovereto in piena campagna, lontano dalle case, perché si sa che diamo fastidio. Non essendo di proprietà comunale, l’Amministrazione si è tirata fuori nel momento in cui c’era da attrezzare il campo per farne una microarea ma noi ci siamo dichiarati disponibili a fare tutto a carico nostro. Io ho fatto per anni il muratore e potevo dare una mano a stendere la ghiaia e delimitare le piazzole. Ma poi è saltato fuori che il terreno non si poteva convertire da agricolo a edificabile. Lo abbiamo offerto al Comune perchè, diventando comunale, forse sarebbe stato più semplice costruirci la microarea e poi ce lo saremmo ripagati nei prossimi venti o trent’anni, ma non c’è stato niente da fare. Oggi ci ritroviamo con un appezzamento di nostra proprietà inutilizzabile”.
Dopo è stata avanzata la proposta di occupare provvisoriamente gli spazi di una scuola oggi abbandonata e isolata nelle campagne di Cavezzo a più di 5 chilometri di distanza da Carpi e, ultima in ordine di tempo, è stata individuata una soluzione dietro l’impianto di compostaggio, “e ci andava anche bene, pur di uscire da qui, ma l’odore è insopportabile”.
Fuori di lì non si esce. Quando si guardano intorno vedono la microarea di via Vecchia Carpi verso Correggio e altre in cui gli spazi di ogni famiglia sono delimitati e in cui le case mobili sono distanziate l’una dall’altra. “Qui siamo uno sopra all’altro. Se dovesse prendere fuoco una roulotte, l’incendio si estenderebbe velocemente a tutte”. Dalla finestra si intravedono i vecchi bagni e anche quelli chimici, attualmente in uso. Li ha portati una delegazione di Emergency, arrivata a Carpi durante i giorni del terremoto, dopo aver constatato le condizioni di vita nel campo nomadi. Pochi qui dentro hanno un lavoro (che non sia andare a raccogliere il ferro o vendere centrini) ma in passato un componente di questa famiglia ha lavorato presso un ristorante e una ragazza ha fatto l’assistente domiciliare. “Quando però si viene a sapere dove viviamo, il licenziamento è immediato. Solo quando non esisterà più via Nuova Ponente 32/A cambierà la mia vita e io non mi reputerò più uno zingaro”.
Sara Gelli