Tutti pazzi per Matteo Renzi?

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Tutti pazzi per Matteo? Pare proprio di sì a guardare l’afflusso e il tifo da stadio che hanno accompagnato le comparse di Matteo Renzi sulle piazze modenesi. Proprio nei luoghi, Carpi e Modena, da sempre tradizionalmente allineati alle direttive nazionali, sempre disciplinati e ossequienti nell’accogliere il segretario di turno, da Occhetto a Berlinguer, da Veltroni a D’Alema, da Bersani a Epifani.
E allora chi sono i duemila di Carpi e gli ottomila di Modena accorsi ad ascoltare il sindaco di Firenze in occasione delle Feste del Pd? Non certamente i dirigenti, i funzionari, gli amministratori, i sindacalisti o i dirigenti delle associazioni di categoria da sempre al fianco di Pci, Pds, Ds e ora del Pd. Erano iscritti e simpatizzanti ma anche elettori del Centrodestra, curiosi di ascoltare un uomo del Pd che ha il coraggio di fare in pubblico le pulci al proprio partito e ai suoi dirigenti, “quelli che perdono sempre le elezioni, che non verrebbero eletti nemmeno nei loro condomini”, come ha detto lui. Persone attratte da un linguaggio comunicativo nuovo e diverso, libero da condizionamenti ideologici del passato. Persone stanche delle liturgie burocratiche dell’apparato del partitone, desiderose di sapere cosa sta succedendo all’interno del Pd con cui, volenti o dolenti, dovranno misurarsi alle prossime elezioni.
“Chi vuole bene al partito sta con Renzi – taglia corto il leader dei renziani carpigiani Roberto Arletti – a volergli meno bene sono quelli dell’apparato burocratico, dello zoccolo duro pre e post-comunista. Gli irriducibili abituati da sempre ad aspettare le direttive da Roma prima di muoversi. Ma l’elettorato si è ribellato alla nomenclatura di partito e si è sentito libero di andare ad ascoltare Renzi, dando in questo modo un segnale forte di insofferenza nei confronti dei dirigenti”.
Ma tutto l’apparato carpigiano è contro Renzi?
“Quasi tutto – risponde Artioli – perché è legato a D’Alema o a Bersani e non ha ancora avuto il coraggio di rompere col passato e di contribuire alla necessaria svolta storica del partito. Quel coraggio che invece hanno avuto uomini di cultura e alcuni dirigenti nazionali come Stefano Bonaga o l’ex amministratore del Pci Ugo Sposetti che, ai giornali, hanno detto (Bonaga) “il partitone ha ucciso le idee, una volta l’Emilia era guardata come modello dal resto dell’Europa, mentre ora vivacchia e mostra segni di decadenza perché vittima del potere per il potere degli attuali dirigenti. Mentre Sposetti ha aggiunto che il Pd non è più un partito ma un insieme di persone che pensa ai propri interessi elettorali e di carriera, un requiem insomma da cui non si sa se ci riprenderemo”.
Ma fuori dall’apparato, ci sarà pure qualcuno che ha avuto il coraggio di aderire pubblicamente alle tesi di Renzi.
“Sì e mi fa piacere ricordare – risponde Artioli – le adesioni di Stefano Zanoli, Stefano Garuti, Saverio Catellani e di altri che, liberi da incarichi, non hanno sottostato alla disciplina di partito, così come ho trovato interessanti le affermazioni pro-Renzi del presidente del consiglio comunale Giovanni Taurasi e della consigliera provinciale Monica Brunetti secondo i quali solo Renzi può risollevare le sorti del partito e infondere nuova fiducia”.
Restano al momento sulle posizioni di Bersani, D’Alema, Cuperlo o Civati, il sindaco di Carpi Enrico Campedelli, il segretario del Pd Davide Dalle Ave, gli onorevoli Manuela Ghizzoni ed Edo Patriarca (quest’ultimo ‘imposto’ da Bersani in un collegio piemontese).
“Insomma – è la conclusione di Roberto Arletti – Renzi convince sempre più perchè ha lanciato un messaggio semplice e chiaro, quello di occuparci di più dei problemi della gente, dei disoccupati, dei giovani, delle tasse senza fare sempre e solo campagna elettorale o di tesseramento. Perché parla di problemi concreti che interessano e appassionano le persone e con questo indica una prospettiva al Paese che vive un momento di disperazione. Dopo che ha visto lo sfascio del partito a seguito della perdita delle elezioni, il fallimento del tentativo di Bersani di formare il Governo, i ridicoli corteggiamenti dei Grillini, lo smacco della bocciatura di Prodi, le spaccature interne. E la frantumazione in Bersaniani, Dalemiani, Veltroniani, Franceschiniani, Bindiani e seguaci di Epifani, di Cuperlo, di Civati. A meno che – dice con sarcasmo un renziano doc – piuttosto che far vincere Renzi l’apparato del Pd non preferisca perdere le elezioni un’altra volta”.
Cesare Pradella

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