C’è chi gioca lo stipendio alle slot machine

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Mese dopo mese hanno messo nel gioco tutto, arrivando a perdere l’impiego perché pur di passare il loro tempo di fronte a una macchinetta, arrivavano tardi a lavorare o, in alcuni casi, non ci andavano proprio. Ogni storia è diversa. Quel che è certo è il cambiamento negli ultimi anni, dei comportamenti degli italiani, costantemente “tentati” da qualsiasi tipo di gioco. “Solamente in tempi recenti, non più di una decina d’anni fa, la comunità scientifica ha classificato come malattia il gioco d’azzardo patologico” perché quello che da sempre era stato considerato un vizio, oggi ha assunto le caratteristiche di una dipendenza.
Giocare a poker con gli amici due volte al mese può essere un passatempo voluttuario e ricreativo, tentare la fortuna con un gratta e vinci cinque o sei volte al mese non rappresenta un segnale d’allarme, “ma il campanello deve suonare quando un soggetto evidenzia i primi sintomi di perdita del controllo”, spiega il direttore del Sert di Carpi, Massimo Bigarelli.
Succede quando una persona ricerca in modo spasmodico quel piacere che deriva dalla vincita, provocato dal rilascio di dopamina a livello cerebrale.
A volte è l’impiegato di banca che chiama per segnalare movimenti sospetti sul conto corrente, a volte è la moglie che, in sede di separazione giudiziale, si ritrova con il conto prosciugato. “Ci sono segnali inequivocabili: la difficoltà improvvisa e immotivata a pagare le spese quotidiane, irritabilità, ansia e rabbia che portano a conflitti all’interno del nucleo familiare destinati a scoppiare quando s’insinua il sospetto e il problema viene poi a galla”.
Il primo passo, spiega il medico specializzato nel trattamento delle dipendenze da gioco d’azzardo, è l’ammissione del problema.
“Chi si rivolge a noi spontaneamente ha già fatto un primo passo in questa direzione ma, per quel 50% di pazienti obbligati a fare controlli, è più difficile maturare la consapevolezza”.
Il Servizio Dipendenze Patologiche di Carpi ha in cura al momento dodici pazienti che soffrono di gioco d’azzardo patologico ma le linee di sviluppo 2012-2013 indicano come prioritario “il potenziamento dell’area di intervento nel gioco d’azzardo patologico, fenomeno che genera grande allarme sociale per la consistente quantità di denaro sottratto all’economia”. “Ancora non esiste terapia farmacologica per curare il gambling ma solo percorsi molto lunghi di sostegno socio-educativo, psicologico e psicoterapeutico” spiega il dottor Bigarelli. I pazienti, giorno per giorno, iniziano ad annotare sul diario le proprie azioni e le spese: così, fotografando la realtà e visualizzandola, cominciano a prenderne coscienza”.
Spesso poi in una situazione si ravvisano più problematiche e il gioco può anche solo contribuire a far precipitare una situazione già critica. “Le sale sono ambienti con luci soffuse in cui spiccano i colori delle slot su cui, spesso, chi gioca tiene il bicchiere pieno di alcolici. Il terremoto, poi, non ha ridotto la propensione al gioco, anzi, chi ha perso la casa e il lavoro, si è messo a giocare per impegnare il tempo. Si tratta per la maggior parte di persone di ceto basso tra i 35 e i 60 anni, per lo più uomini ma le donne sono particolarmente accanite”.
Slot machine, gratta e vinci, superenalotto, a cui si è aggiunto il gioco on line con la carta di credito: la possibilità di giocare a qualsiasi ora del giorno e della notte sta rovinando tante persone.
Puntare alla prevenzione, secondo il dottor Bigarelli, è la strategia vincente e, non a caso, sul finire del 2012, in applicazione al Decreto Balduzzi, sono stati forniti agli esercizi commerciali interessati dal problema dei cartelli con indicazioni ai cittadini.
Dalla dipendenza si può comunque uscire e il primo passo è chiedere aiuto al Sert di Carpi (059.659921, senza impegnativa del medico di medicina generale, non è previsto il pagamento del ticket).
“Il grande paradosso sta nel fatto che lo Stato italiano mette a bilancio 6/7 miliardi di euro provento dei giochi e poi ne deve spendere il doppio per curare le persone”.
Sara Gelli

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