Un artista ‘battilamiera’

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Esternamente sembra uno dei tanti capannoni della zona artigianale di Soliera.
Se non fosse per la bandierina della Ferrari appesa al numero 78 di via Scarlatti, non ti accorgeresti nemmeno che proprio lì sorge la fucina di un autentico artista di altri tempi. Gli anni del benessere, quelli del miracolo economico della vicina Carpi, capitale della maglieria e dell’opulenza dai contorni talvolta geniali…
Stiamo parlando di Irmo Artioli, nato a Soliera, classe 1949, dal tratto gentile, uomo razionale e felice, come solo può esserlo un creativo che vede rinascere dalla sua opera autentici capolavori, proprio come una tela del Caravaggio o una scultura del Bernini.
La soddisfazione gliela leggi negli occhi quando si aggira tra i telai delle sue macchine, sinuosi scheletri d’argento del suo laboratorio che lui chiama “bottega”, soddisfatto e compiaciuto del miracolo che si rinnova sotto le sue mani d’artista.
Figlio di un ferroviere, in giovanissima età, Irmo fu affidato alle cure dello zio paterno, il dottor Erminio Artioli, dentista a Carpi, affinchè gli insegnasse il mestiere di odontotecnico. Lo zio però, da appassionato di automobili, lo portò anche al Salone dell’Auto di Torino. Salone che cambiò il destino di Irmo Artioli. Tornato a casa, infatti, lasciò l’ambulatorio e, a 14 anni, trovò un impiego da apprendista presso la Carrozzeria Sport Cars di Modena dove, sotto la guida del titolare, si riparavano numerose Ferrari incidentate e dove non era difficile incontrare il “Drake”. “All’inizio mi facevano lavare i cerchioni delle auto – racconta Artioli – e solo molto tempo dopo potei avvicinarmi alle “centine”, le gabbie di filo di ferro sulle quali si plasma la scocca di lamiera che viene battuta e ribattuta all’infinito, proprio come una Katana, la famosa spada giapponese dei samurai, fino a quando le tue dita sfiorano il risultato finale. Una serie di curve lisce e sinuose come il corpo di una bella donna”.
Solo dopo il servizio militare – paracadutista della Folgore – Irmo riprende il suo lavoro di carrozziere incontrando Mike Parkes ex pilota da corsa Ferrari e, in seguito, direttore sportivo della scuderia svizzera Filipinetti con il quale realizzava macchine da corsa. La morte di Parkes in un incidente stradale a Torino, nel 1977, mise fine all’attività e Artioli passò a lavorare con Franco Bacchelli, titolare della Carrozzeria Autosport di Bastiglia, azienda specializzata in lavorazioni esclusive su Ferrari e Maserati, tuttora in attività.
Vi resterà per quasi trent’anni, guidato dall’esperienza di Afro Gibellini, già capo officina di Sergio Scaglietti.
Nel 2006, poco dopo l’entrata in pensione, Irmo Artioli si rende conto che il riposo forzato e la vita del pensionato non fanno per lui. Non ama frequentare i classici luoghi di chi non ha più niente da fare, come la briscola al bar o il torneo alla bocciofila…
Decide pertanto di continuare la sua attività di artista ‘battilamiera’ nella sua attuale officina presso la quale si rifugia dall’alba al tramonto, domeniche comprese…
“Per me non vi è posto migliore della mia bottega, ci vengo anche alla festa, mi piace guardarmi intorno e sognare a occhi aperti, immaginando ogni mia macchina finita e pronta per scendere in strada, per farsi guardare e ammirare, proprio come una bella femmina. E’ curioso notare il parallelo fra il nostre mestiere e le belle donne… Tutti in questo ambiente siamo grandi amanti delle belle donne e con le nostre macchine ci comportiamo alla stessa maniera: le corteggiamo, le accarezziamo, le guardiamo proprio come io faccio ogni giorno…E’ per questo che io non amo fare altre cose. Cosa c’è di meglio che sedersi qui, nel mio laboratorio a guardare queste belle donne? Tra queste c’è anche il mio amore, la macchina della quale da sempre sono perdutamente innamorato… Si tratta della Ferrari Dino 246, bella come una brasiliana”.
Quanto tempo occorre per preparare il telaio di una sua macchina?
“Dipende da modello e dallo stato in cui mi arriva. Normalmente un anno, talvolta due”.
Con quale materiale le ricostruisce?
“Di preferenza l’alluminio, materiale duttile e piuttosto resistente”.
Chi sono i suoi clienti?
“Facoltosi americani, svizzeri, tedeschi e, naturalmente, italiani”.
Qualche nome?
“Vuole scherzare? Questi personaggi non gradiscono alcun tipo di pubblicità, vogliono solo la macchina, uno di questi ha più di 70 vetture d’epoca, e poi con loro si stabilisce un rapporto di amicizia, io vado a casa loro, ci telefoniamo spesso… il nostro è un rapporto basato sulla stima reciproca”.
La pagano bene?
“Certo, ma il denaro non è che una conseguenza logica del mio lavoro e alla mia età nemmeno più tanto importante. Vi sono modelli di macchine che farei anche gratis… Questo non vale ovviamente per il mio allievo, Andrea Bisi di Carpi, lui è giovane, ha 19 anni e una vita davanti, ma per adesso deve pensare solo a imparare, il resto verrà dopo”.
Che macchine state facendo adesso e quanto valgono sul mercato?
“Quella lì di fronte è la scocca di una Ferrari 250 SWB del 1959, vale 3 milioni di euro, l’altra è una Ferrari F1 250 Pininfarina del 1954 e vale oltre 5 milioni di euro ed è la seconda perché ne ho già fatto un’altra, mentre la terza è una Ferrari California 250 del 1961 e vale oltre 5 milioni di euro”.
Questi modelli sono tutti rifatti a volte anche con pezzi artigianali, fatti a mano, ma la Ferrari cosa dice di queste macchine non completamente originali?
“Nulla, una volta terminata, la macchina viene portata a Maranello, dove c’è un laboratorio che si occupa della certificazione di autenticità e del diritto di registrarsi nuovamente col marchio Ferrari. In base ai riferimenti di telaio e motore, l’automobile viene esaminata in ogni sua componente e, alla fine, se tutto è in regola, la Ferrari emette un certificato di conformità. Naturalmente a pagamento”.
Come giudica Enzo
Ferrari?
“Come tutte le persone geniali non era ‘comodo’, bensì un uomo dal tratto ruvido e spigoloso. Da ragazzo lo vedevo passare fra le scocche e mi incuteva una certa soggezione mista a riverenza. A mio parere lui non sapeva lavorare con le mani, ma era un mago, un ‘Drake’ appunto, nella scelta del materiale umano, sapeva capire al volo le qualità delle persone e le faceva proprie. Il suo impero è nato proprio grazie a queste sue attitudini”.
Cosa chiede al futuro?
“La salute, che il padreterno mi lasci ancora un bel po’ di tempo nel mio paradiso terreno, qui, fra le mie macchine e che Andrea, il mio collaboratore, cresca professionalmente e diventi ancor più bravo di me”.
Sauro Mazzola