La mia azienda in Cina

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Per lavoro ha sempre viaggiato, e tanto. Nel 2009, incaricato dall’azienda di seguire l’apertura di nuove filiali, è rimasto negli Stati Uniti per diciotto mesi, “ma mi è sempre piaciuto tanto al punto che quando mi è stata affidata la gestione di un’azienda del gruppo ho faticato ad abituarmi all’essere stanziale, condizione che mi stava un po’ stretta per l’abitudine a girare il mondo”. La svolta arriva nel 2012: la divisione macchine tessili per la quale il carpigiano Mauro Vignoli, 47 anni, sposato e con tre figli, lavora non rientra più nel core business del gruppo aziendale che si occupa di attrezzatura per gommisti. “La divisione macchine tessili viene ceduta e l’acquirente è l’agente in Cina al quale sono legato da un rapporto di stima professionale e di amicizia da più di sedici anni. In virtù di questo legame mi ha chiesto di collaborare e così è iniziata la mia avventura in Cina”. Oggi Vignoli è alla direzione generale dell’azienda, “ma la mia vocazione è quella commerciale quindi continuo a girare il mondo”, soggiorna in Cina almeno una volta al mese, “per una o per tre settimane, dipende dalle difficoltà che sorgono in azienda. Poi c’è Skype e grazie alle conference call non è sempre necessario essere presenti fisicamente”. Con sede a Shangai, l’azienda, che produce appunto macchine tessili, ha il suo mercato prevalentemente in Cina (80%), dipendenti cinesi e collaboratori italiani.
Ha avuto ripensamenti rispetto alla scela di lavorare in Cina?
“Assolutamente no: resto convinto che si debba cercare lavoro là dove il lavoro c’è. E in Cina non mancano le opportunità. Quando i cinesi hanno acquisito l’azienda e il know how si sono però ritrovati senza la capacità di sfruttarlo: avere le stesse attrezzature non significa automaticamente riuscire a fare le stesse cose. Questo è quello che manca in Cina: l’abilità manageriale di mantenere standard qualitativi simili a quelli europei. Manca una cultura industriale e questa è la fortuna del mondo occidentale, anche se non durerà a lungo”.
Quanto potrà durare questo vantaggio?
“I cinesi hanno un sistema scolastico molto competitivo. Sono coscienti del fatto di essere in tanti e solo chi avrà una preparazione adeguata potrà emergere. La politica del figlio unico consente alle famiglie di concentrare tutte le risorse economiche sulla sua formazione e preparazione. Non bisogna però considerare la Cina come una minaccia, bensì come un’opportunità: è un mercato enorme con una forte possibilità di espansione. In Cina ci sono 1 miliardo e 200 milioni di persone e duecentocinquanta milioni sono abbienti. Noi produciamo là perché il mercato è là, non perché ci costa meno. Ai cinesi manca la parte creativa e non sono ancora in grado di gestire la flessibilità: non sarebbero capaci oggi di condurre quelli che erano da noi i pronto moda. Ma noi per primi portiamo tecnologia e know how e quindi loro crescono. Ricordo che sei anni fa, in occasione di una conferenza di Confindustria in Veneto, fu invitato il console cinese e, parlando davanti a una platea avvelenata nei confronti dei cinesi per la loro concorrenza sleale, ammise le responsabilità della Cina prima nazione nella classifica della contraffazione ma fece presente agli imprenditori che al secondo posto c’era l’Italia. E’ un mondo che gira”.
Ieri l’Italia, oggi la Cina?
“Il problema è il futuro e a questo bisogna guardare. Secondo le proiezioni sulla crescita globale dell’Ocse, il Pil degli Usa dal 23% del 2011 passerà al 18% del 2030, l’Europa dal 17 scenderà al 12%, peggio farà il Giappone dal 7 al 4% mentre la Cina dal 17 balzerà al 28% e l’India dal 7 all’11%. Dati che ci inducono a pensare che il lavoro dei nostri figli sarà là, noi saremo più poveri è irreversibile, l’importante è farsi trovare pronti, lavorando sul lungo termine”.
La Cina continua a crescere mentre l’Europa rallenta. Che cosa fa la differenza oggi?
“La manodopera in Cina costa poco e questo consente di produrre a costi inferiori. In Cina oggi è concentrata tutta la produzione degli Stati Uniti: quasi tutto quello che viene venduto negli Usa è fatto in Cina. Inoltre la Cina può contare su un mercato interno dal grande potenziale. Il calo dell’export registrato nel 2012 rispetto al 2011 è stato compensato in parte dalla crescita della domanda interna, facendo crescere la nazione dall’interno. La parte più sviluppata della Cina è quella sulla costa Est mentre la zona centro-occidentale è ancora tutta da valorizzare e ci sono incentivi per le aziende che decidono di insediarsi lì”.
Che ne pensa dei cinesi che sono venuti a lavorare in Italia, a Prato come a Carpi?
“Se i cinesi sono venuti a Prato e a Carpi è perché qualcuno ha dato loro spazio sfruttando un certo tipo di manodopera. I cinesi qui non hanno dato vita a brand propri ma hanno prodotto per la case italiane. Resto comunque convinto che la legge del prezzo più basso non paga mai perché ci sarà sempre qualcuno che paga un prezzo inferiore”.
E in Cina i cinesi hanno lanciato dei marchi propri?
“Il loro problema (e la nostra fortuna) è che in Cina non esistono brand. Copiano ad esempio i cioccolatini Ferrero Rocher perché non hanno estro. Recupereranno anche in questo però, perché sono tanti i cinesi che vanno a studiare in America e tornano in patria con nozioni di marketing all’occidentale. Il brand è importantissimo: acquistare beni di lusso per un cinese significa distinguersi dal punto di vista sociale. La vendita di IPhone 5 in Cina è esponenziale e tutti devono avere l’ultimo modello”.
C’è qualcosa che ci accomuna?
“Il piacere del mangiare, per loro il pasto è sacrosanto e non esiste ragione per saltarlo, nemmeno durante trattative importantissime. Sarà per questo che gli italiani a differenza di francesi e tedeschi vanno maggiormente d’accordo coi cinesi … Nella cucina cinese niente è surgelato: al ristorante ci sono stanze riservate agli acquari dove è possibile scegliere il pesce che uno desidera e che viene cucinato al momento. I cinesi hanno poi un grande senso della famiglia anche se non esistono più zii né cugini a causa della politica del figlio unico”.
E se uno vuole avere due figli?
“Deve essere ricchissimo perché viene tartassato dal punto di vista fiscale. La politica del figlio unico sta mostrando però tutti i suoi limiti nella cura dei genitori che diventano anziani. La Cina è un Paese dalle tante contraddizioni: c’è il riscaldamento sopra il Fiume Giallo mentre al di sotto non esiste e si fa risparmio energetico: in questa zona della Cina non ci sono alberi perché sono stati tutti tagliati per ricavarne legna da ardere. C’è stato un grande sviluppo del solare termico nelle abitazioni mentre il fotovoltaico non ha avuto la stessa diffusione, nonostante la Cina sia il più grande produttore di pannelli fotovoltaici”.
In che condizioni si lavora?
“Mentre in certe parti dell’India si muore per strada, in Cina tutti hanno una casa, mangiano e lavorano. Il governo cinese, con tutte le critiche che possono essergli mosse, fa scavare le strade con le zappe piuttosto che lasciare disoccupata la propria popolazione. In Cina non ci sono disoccupati. E’ paradossale ma, in occasione delle assunzioni di personale, i candidati, ricontattati dopo una settimana, avevano già trovato un’altra occupazione. Il mercato del lavoro è estremamente mobile: si trova lavoro dalla mattina alla sera. Non esiste fidelizzazione aziendale: i cinesi non si affezionano all’azienda in cui lavorano e basta un’offerta di venti euro superiore al loro stipendio (che è di 250 euro circa al mese) per convincerli a cambiare. In azienda abbiamo istituito un sistema di incentivi per premiare i dipendenti che restano”.
E i sindacati?
“I sindacati esistono per organizzare gite”.
In che modo la censura condiziona la vita degli stranieri che vivono in Cina?
“I social network sono filtrati e tutta la Rete subisce un pesantissimo controllo così come i mezzi di informazione: i cinesi hanno saputo della Sars quindici giorni dopo il resto del mondo. Io ho imparato a non parlare mai dopo il lavoro di religione, politica e governo”.
L’ha mai sfiorata l’idea di vivere là?
“C’è stato un momento in cui si è posta la questione ma l’idea di vivere l’elevatissimo grado di inquinamento delle città non mi ha mai entusiasmato: a Pechino lo smog supera i limiti di 25 volte, il cielo è grigio tutto l’anno. E’ meglio la nebbia invernale della Pianura Padana”.
Sara Gelli

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