Là dove c’era una casa ora ci sono solo macerie, ma il terremoto non c’entra

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Era la casa rossa dalle finestre verdi. Così gli abitanti del paese chiamavano Palazzo Paltrinieri in via Solferino, a Cavezzo. Dal 1912 lo storico edificio è stato testimone e custode di quattro generazioni e ha resistito fiero a due guerre mondiali, all’occupazione nazista e persino alla violenza del terremoto. Le sue stanze finemente affrescate che serbavano oltre a mobili e oggetti antichi di inestimabile valore, anche foto, dischi, libri ma, soprattutto, tanti ricordi, sono state buttate già a colpi di gru l’8 giugno scorso in tutta fretta e senza nemmeno avvisare i proprietari.

“Dopo la scossa del 20 maggio – racconta il 34enne Alessio Bondi che lavora nella filiale di Banca San Geminiano e San Prospero in via Berengario, a Carpi – ci siamo allontanati per alcuni giorni dall’abitazione poiché sorgeva in zona rossa. La nostra casa aveva una crepa che l’aveva divisa dalla costruzione contigua, un edificio costruito vent’anni dopo il nostro e con materiale molto più povero. Per colpa di quel fabbricato la nostra abitazione era stata dichiarata inagibile. Tuttavia sia un ingegnere statico che la commissione regionale avevano dichiarato che era assolutamente recuperabile con gli opportuni interventi. Dopo la scossa del 29 maggio, la nostra casa era rimasta in piedi senza subire gravi lesioni, mentre quella adiacente era crollata.

Ci hanno detto che occorreva ripetere l’iter di controlli ed è quanto abbiamo fatto. Abbiamo inoltrato una nuova segnalazione al Comune lasciando tutti i nostri recapiti telefonici a coloro che erano incaricati delle verifiche. Ci avevano rassicurati che ci sarebbe stato un nuovo sopralluogo in nostra presenza. Poi, però, l’8 giugno scorso, mentre eravamo fuori città, alcuni nostri parenti ci hanno contattati avvertendoci che in televisione stavano trasmettendo le immagini di casa nostra mentre le ruspe la demolivano. Superfluo dire che siamo rimasti esterrefatti: abbiamo subito contattato il Comune ma le spiegazioni sono state varie e discordanti.

“Prima – prosegue Alessio – ho parlato con un geometra che subito ha sostenuto che la casa fosse collassata in seguito al terremoto poi, di fronte all’evidenza delle immagini trasmesse sulle principali emittenti televisive, ha dichiarato che si era rivelato necessario abbattere l’edificio per garantire l’incolumità pubblica, ma ciò è inverosimile dal momento che tutto il centro di Cavezzo era stato transennato e nessuno poteva accedervi senza autorizzazione e senza essere accompagnato dai pompieri. Ed è proprio con il capo di questi che ho successivamente parlato. Egli mi ha risposto che pensavano che la mia casa fosse un unicum con quella attaccata, e che quelli del Comune avevano dato il via libera alla demolizione. Il giorno dopo, lo stesso vigile ha cambiato versione affermando che la nostra casa era già collassata all’interno e le travi del tetto marcite”.

A quel punto Alessio e i suoi familiari interpellano il sindaco, Stefano Draghetti, un amico di famiglia che, come spiega Alessio, “nel primo incontro del 9 giugno scorso aveva ammesso l’errore scusandosi e rassicurandoci che avrebbe fatto ricostruire quanto prima la nostra casa e che, nel frattempo, ci avrebbe procurato d’urgenza un’abitazione provvisoria, ma dopo qualche giorno, ha cambiato versione e atteggiamento, affermando che i Vigili del Fuoco hanno raso al suolo la casa adiacente, ma poi si sono accorti che era da demolire anche l’altra parte del fabbricato, in quanto i muri erano molli. Ci sono vari aspetti che ci lasciano sgomenti e ci fanno supporre che le cose non siano state fatte secondo la norma, ed è per questo che abbiamo avviato una causa. Innanzitutto l’ordinanza di demolizione è stata redatta e firmata solo dopo che i lavori erano già iniziati. La demolizione, in linea teorica, è iniziata nella mattina dell’8 giugno (anche se un video di YouReporter testimonierebbe l’inizio già nella serata del 7 giugno) mentre l’ordinanza di abbattimento è stata firmata alle 19,45 dell’ 8. Inoltre è stato scritto che i proprietari non erano reperibili, quando invece avevamo lasciato tutti i nostri recapiti telefonici.

Hanno detto di aver contattato una mia zia senza ricevere risposta. Ma in Comune non lo sapevano che la poveretta era morta già da alcuni anni? Nella stessa ordinanza si dice che l’immobile andava abbattuto per la tutela degli immobili vicini, ma questi ultimi versavano in condizioni ben peggiori di quelle in cui era la nostra casa. Manca poi un verbale di sopralluogo preventivo che è invece previsto dalla norma. In definitiva le ambiguità sono tante e, oltre ad aver subito il grave danno, ora riceviamo anche la beffa di non trovare risposta dalle istituzioni, coloro che dovrebbero salvaguardare i nostri diritti. L’abitazione provvisoria che ci aveva promesso il sindaco non c’è ma, soprattutto, non c’è la voglia di aiutarci, eppure non è stato il terremoto a spezzare la nostra casa, sono stati loro e, ancor oggi, non capiamo il perchè.

Lungo le strade di Cavezzo ci sono case pericolanti che costituiscono un grave pericolo per la gente che sono state solo transennate e non abbattute”. E’ tuttora in corso l’indagine della Procura. Come spiega il legale della famiglia Paltrinieri-Bondi, l’avvocato Nicoletta Tietto: “abbiamo fatto fare degli accertamenti tecnici e dall’analisi di alcuni pezzi di muro è emerso che il materiale con cui era stato costruito Palazzo Paltrinieri era di ottima qualità per l’epoca. Il mattone era pieno, la malta eccellente, vi erano incatenamenti solidi e ancora integri, e i solai che rappresentavano la vera incognita, erano ancora perfettamente ancorati. Sull’accaduto si pronuncerà la Magistratura. Nel frattempo noi chiediamo che le macerie vengano trattate come previsto dalla legge”. Dopo quasi tre mesi di attesa, il 31 agosto Alessio, i suoi genitori, sua zia e sua cugina sono riusciti a rientrare in casa per recuperare, insieme a una squadra di pompieri inviati dalla Regione, alcuni mobili del piano terra, unica parte dell’abitazione che sono riusciti a salvare prima che le ruspe demolissero anche quella.

“Siamo contenti – racconta Alessio – di essere riusciti a riappropriarci almeno di questi pochi mobili, tra cui vi è anche un pezzo unico risalente all’epoca del Ducato Estense. Tuttavia, la maggior parte del nostro arredamento, così come dei nostri oggetti è andata distrutta. Alla piccola gioia di aver portato in salvo un po’ della nostra casa, si accompagna anche la rabbia nel constatare per l’ennesima volta come essa sia stata abbattuta senza motivo. Era talmente solida nelle sue fondamenta che i soprammobili si trovavano ancora nell’esatta posizione in cui li avevamo lasciati. Né la forza distruttiva del sisma, né quella delle ruspe li hanno fatti spostare di un solo centimetro. La cucina, che è la zona più vicina alla crepa della casa contigua, è ancora perfettamente integra. Inoltre, da quasi tre mesi il soffitto del piano terra sta resistendo al peso delle macerie che gli sono piombate addosso senza dare la minima impressione di cedere. Tutto ciò è una prova che la casa non era collassata al suo interno come alcuni hanno sostenuto, né che i muri fossero a rischio crollo. Al contrario era tutto in buono stato”.

Oltre il dolore, la rabbia e il senso di abbandono, c’è però la forza di reagire. Alessio e la sua famiglia hanno aperto un blog (www.demolizionepaltrinieri.blogspot.it) che ha già ricevuto oltre 2mila visite, hanno scritto a personaggi di spicco nel panorama italiano e, racconta Alessio, “mia madre Rosaria Paltrinieri ha inviato una e-mail al Commissario Vasco Errani poco prima del 15 agosto. Ancora non ci è giunta risposta ma i suoi collaboratori ci hanno riferito che il caso è già nelle mani del presidente. Anche i Radicali di Modena si sono interessati al nostro caso e hanno depositato un’interrogazione parlamentare al riguardo. E poi ci ha fatto molto piacere che il conduttore televisivo bolognese Red Ronnie abbia risposto alla nostra segnalazione e abbia avuto la premura di pubblicare sulla sua pagina di Facebook il link del nostro blog, per attirare l’attenzione su quello che ci è successo e che non vogliamo finisca nell’oblio”.