La teoria della tettonica delle placche ci insegna che l’involucro più esterno della Terra è suddiviso in placche litosferiche dotate di moti propri ed indipendenti rispetto a quelle adiacenti. Se osserviamo la mappa dei terremoti nel mondo, aggiornata in tempo reale, noteremo che gli eventi sismici sono tutti concentrati entro fasce ben delimitate del pianeta, ad esempio lungo tutta la costa occidentale delle Americhe, oppure la fascia che dal Giappone prosegue nelle Filippine, fino a largo dell’Australia. Tali zone delineano i margini delle placche terrestri, e la penisola italiana sorge esattamente in corrispondenza del limite tra la placca africana e quella euroasiatica. Ne resta fuori la Sardegna, la quale, trovandosi all’interno della placca euroasiatica e non al suo margine, non risulta interessata da attività sismica degna di nota. L’avvicinamento reciproco tra due placche fa dunque sì che la litosfera sia continuamente sottoposta a stress tettonici, con conseguente formazione di faglie e fratture: l’energia elastica rilasciata dalla nuova rottura di una porzione di faglia genera un sisma, il quale si propaga sottoforma di diversi tipi di onde: quelle di volume (P ed S) e quelle di superficie (Rayleigh e Love). Le prime, più veloci, si propagano, come dice il nome, nell’intero volume del globo terrestre e, se di magnitudo superiore a 4, vengono registrate da tutti i sismografi della Terra: un’onda P, che si allontana dall’ipocentro ad una velocità pari a 6-8 km al secondo, impiega all’incirca 20 minuti per raggiungere l’altro capo del pianeta. Oggi sappiamo che il fronte nordorientale degli Appennini è sommerso dalla coltre di sedimenti della pianura padana: in questa catena montuosa sepolta, soggetta ai movimenti compressivi delle placche in gioco, sono collocati gli ipocentri dei sismi che hanno colpito l’Emilia a partire dal 20 maggio scorso. Qualcuno ha detto che quello emiliano è stato un sisma anomalo. Per capire se è vero, occorre prima definire cosa si intenda per terremoto ‘normale’. Di sicuro non si tratta di un evento raro, dal momento che sono 800, ogni anno, i sismi di magnitudo compresa tra 5 e 6 che avvengono sul nostro pianeta, 6200 con magnitudo compresa tra 4 e 5 e 49000 con magnitudo tra 3 e 4. Neppure è cosa facile tradurre in una semplice legge matematica eventi che per definizione sono “catastrofici” e che vanno sotto il nome di eventi dalla criticità autorganizzata – sappiamo grossomodo quanti eventi ci saranno in un dato tempo, ma non esattamente quando. Tuttavia, il sismologo giapponese Omori scoprì che il numero di scosse diminuisce in maniera esponenziale in seguito all’evento di massima intensità. Insieme a quella di Omori, una seconda legge utile è quella di Gutenberg-Richter – lo stesso scienziato che ha dato il nome alla scala di magnitudo – secondo cui il numero di terremoti decresce esponenzialmente con il crescere della magnitudo (vale a dire che si avranno tante scosse di bassa intensità mentre la maggior parte dell’energia verrà prodotta da poche scosse di alta intensità). Basta raccogliere i dati pubblicati in rete dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia o da analoghe agenzie scientifiche estere per verificare facilmente che il sisma emiliano soddisfa entrambe queste leggi, caratterizzandosi così come un terremoto come tanti altri. Un’unica, importante raccomandazione: accertarsi che le fonti da cui si attinge siano debitamente accreditate.
Per un’informazione sicura: www.terra.unimore.it, www.iris.edu, http://tersiscio.blogspot.it/.
Domitilla Santi