Economia tra ieri e oggi

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A invitarmi a entrare è un anziano signore di 81 anni dall’aria simpatica e dallo sguardo penetrante. Una lunga vita di imprenditore alle spalle, due figli che gli hanno regalato tante soddisfazioni, quattro adorati nipoti e una moglie della quale, dopo 52 anni di matrimonio – lo si legge nel sorriso da scolaretto dispettoso che gli compare sulle labbra quando ne parla – è ancora innamorato come il primo giorno.

Chissà se avrebbe immaginato tutto questo quando, nel 1957, a soli 26 anni, dovette compiere una delle scelte più importanti della sua vita: decidere se accettare la proposta dell’amico Adriano, che si era offerto di finanziargli, con 5 milioni di lire, un’attività in proprio. Classe 1931, ultimo di dodici figli – otto femmine e quattro maschi – Mauro Corradi è di umili origini. “Una miseria da piangere. Mio padre era l’uomo più buono del mondo.

Per noi si è spaccato la schiena. Laborioso, tutto dedito alla famiglia: quante privazioni, quanti sacrifici! Solo per poterci assicurare un po’ di calore, non esitava ad alzarsi, nelle notti d’inverno, per poi rincasare con un tronco”. Sacrifici: è questa una delle parole chiave dell’infanzia e della giovinezza di Mauro. Nato a Soliera, abita con la famiglia di fronte alle scuole elementari. “Avevo appena iniziato le Medie, quando mia madre – una donna di una forza straordinaria che ho amato infinitamente, analfabeta ma rispettata da tutti – arrivò e disse al professore che per me era ora di iniziare a lavorare”. Uno dei miei fratelli aveva un’officina da fabbro e meccanico. Ed è lì che il giovane Mauro comincia, dodicenne, a sudarsi il pane, “facevamo di tutto. Dalla bicicletta, all’aratro, alla pompa. Si lavorava minimo 10 ore al giorno”.

Ma la Storia irrompe nelle vite di tutti: la guerra è alle porte, e il fratello deve partire soldato. “Andavo intorno al muro della caserma e lui mi buttava fuori un paio di gallette, talmente dure che per mangiarle dovevamo immergerle nell’acqua. A questo ci portava la fame”. In casa Corradi restano soltanto donne e bambini – i figli dei suoi fratelli tutti richiamati al fronte – e Mauro si ritrova a dover mantenere la numerosissima famiglia praticamente da solo. Pur con grande fatica, l’attività prosegue e Mauro riesce a dare alla famiglia una minima stabilità economica. Sennonché il fratello muore, e a 20 anni il giovane saldatore si ritrova a dover mantenere anche la cognata e il nipote.

A questa tragedia si somma la crudeltà. “Il proprietario del locale nel quale avevo la bottega ce lo tolse, sostenendo che il contratto d’affitto era intestato al mio defunto fratello, e quindi avevamo perso qualsiasi diritto di mantenerlo, se non a condizioni per noi inaccettabili”. Ma se c’è una qualità che non gli manca, è la caparbietà, e poi la necessità aguzza l’ingegno. Ostinato sino alla testardaggine, capace di inseguire un obiettivo senza mai desistere, passa da un lavoro mal pagato all’altro, finché finalmente non trova un impiego a Modena.

“Tutte le mattine inforcavo la bicicletta e facevo i 15 chilometri per arrivare sul posto di lavoro, dove per nove ore usavo il saldatore, guadagnando la cifra, misera anche per quei tempi, di mille lire al giorno”. E’ in questo periodo che incontra Isotta Lugli, la donna che resterà per sempre al suo fianco. “Una sera verso le 23 entro, insieme a un amico, al ‘ballo’ dell’Arlecchino, a Carpi. Dall’altra parte della sala vedo questa ragazzina – all’epoca 16enne – e mi accorgo che anche lei mi nota. Ero in piedi, con il soprabito ripiegato al contrario sul braccio, per non far vedere quanto fosse rovinato. All’improvviso lei si alza e, insieme a una compagna, si incammina verso la mia direzione”.

Mauro è un bravo ballerino e la sicurezza non gli manca, tanto da aver fatto girare la testa a più di una giovane. “Signorina, mi concede il prossimo ballo?” “No”, è la secca risposta. Immaginiamo la sorpresa, mista a vergogna, dipingersi sul volto esterrefatto, quando il giovane si accorge che la ragazza si stava in realtà recando al bagno, situato proprio alle spalle del respinto cavaliere. Da quel momento inizia un corteggiamento serrato, che darà i suoi frutti. “Quante camice mi ha strappato”, commenta ridendo. “Avendo due caratteri forti si bisticciava spesso – ci tiene a precisare la moglie – In quei frangenti io volevo restasse lì a discutere, mentre lui invece voleva partire in lambretta, e per tenerlo fermo qualche bottone è saltato”.

A 26 anni la svolta, con la possibilità di iniziare a lavorare in proprio. “Ci ho voluto pensare bene. E se non fosse andata bene? Lo stipendio fisso, anche se modesto, rappresentava un’entrata importante per la famiglia”. Ma per gli uomini come lui il coraggio non è solo una posa di circostanza e decide di lanciarsi in questa ennesima avventura insieme agli amici Villiam e Marino. Iniziano da un capannone in via Alghisi a Carpi per produrre mobili in acciaio smaltato per la cucina: “in otto mesi avevamo 80 operai, e abbiamo dovuto allargarci rilevando, sempre nella stessa via, lo spazio precedentemente occupato da un maglificio che era fallito”. Mauro non è però un semplice saldatore: progetta, disegna, inventa modelli. E lo fa talmente bene che gli ordini piovono da tutta Italia.

“Usavamo 25 quintali di lamiera la settimana e i clienti pagavano in anticipo per avere la sicurezza di accaparrarsi i mobili”. Mai stanco di sperimentare, arriva poi a produrre mobili in legno. Alla fine del suo lungo percorso, dopo tanti stenti e privazioni, Mauro è un signor imprenditore: tre stabilimenti – due a Carpi e uno a Soliera – un magazzino a Torino e uno a Paternò, 300 dipendenti. Un bel risultato per il figlio di un muratore che d’inverno faceva il macellaio. I figli non sono da meno: “Roberto, ingegnere, è stato assunto alla Ferrari, addirittura quattro mesi prima di terminare il militare, dallo stesso Enzo! William invece ha un’azienda di grafica tutta sua, e dicono che con i computer sia un mago”.

Nella vita Mauro non ha soltanto lavorato e battibeccato con la moglie. Una volta raggiunta la sicurezza economica si è tolto qualche sfizio: scalare le vette delle Dolomiti, scrivere due libri, coltivare e approfondire la sua passione smodata – guarda caso – per Leonardo Da Vinci. L’avvincente storia di quest’uomo che a 80 anni suonati conserva ancora lo spirito del ragazzino curioso e impertinente che era un tempo ci riporta il sapore di un’epoca e di una generazione nella quale volontà, impegno e sacrifici andavano di pari passo con l’ingegno: potevi non avere che la quinta elementare, ma non per questo la speranza nel futuro ti era preclusa. I tempi ora sono molto diversi, ma di certo nella giovinezza di quest’uomo non erano più semplici.

La forza di credere nel futuro, la volontà di non arrendersi e l’umiltà di sacrificare anche il proprio piacere e benessere presente per gettare le basi di un futuro migliore: sono questi gli insegnamenti principali che ci provengono da un uomo sicuramente non comune, ma che è specchio di una generazione che si è risollevata dalle macerie materiali e morali della Seconda Guerra Mondiale con una tenacia che oggi andrebbe riscoperta.