“Sono esenti dall’Imu quelle scuole che svolgono attività secondo modalità concretamente non commerciali” ha annunciato il capo del Governo, Mario Monti. In soldoni, d’ora in poi, a pagare la nuova imposta, saranno tutte le scuole che, sostenute da rette, nella loro attività, perseguono uno scopo di lucro. Immediata l’allarme del mondo cattolico che teme il colpo di grazia per le scuole paritarie e gli asili gestiti da religiosi e una mazzata per gli enti non lucrativi. La questione divide, e se nella squadra del no, spicca il commento di Barbara Palombelli, scrittrice e opinionista televisiva, che ha definito l’introduzione dell’Imu per la Chiesa “un’eutanasia della carità”, nella squadra dei favorevoli il leit motiv è ben più pragmatico, a fronte di una finanziaria lacrime e sangue per i cittadini, è giusto che anche la Chiesa faccia la propria parte per salvare il Paese.
E a Carpi cosa accadrà? Per far migliorare i conti color rosso cronico dell’Italia, la Chiesa carpigiana sarà disposta a fare la propria parte? La Diocesi di Carpi, quale ente no-profit, si è sempre attenuta alla normativa Ici che prevede l’esenzione per gli immobili di tutti gli enti non commerciali destinati allo svolgimento di determinate attività sociali: ovvero le attività assistenziali, sanitarie, didattiche, ricreative, culturali, sportive, di religione e di culto.
L’esenzione risponderebbe all’idea di salvaguardare un patrimonio immobiliare di rilevanza architettonica (come lo splendido Palazzo vescovile e il Museo di Sant’Ignazio) e fruibile dalla collettività, come la maggior parte degli spazi delle parrocchie. Al contrario, la Diocesi ha sempre pagato l’Ici sugli immobili dati in locazione. Di conseguenza, come avverrà per tutte le famiglie carpigiane, con l’introduzione dell’Imu, pagherà di più per effetto di un aumento del 60% dei moltiplicatori catastali e di un aumento dell’aliquota dell’imposta. Il quadro si fa più problematico sul fronte scuole.
Nel Comune di Carpi, le scuole cattoliche paritarie sono: l’Istituto Sacro Cuore di via santa Chiara (Sezione Primavera, Scuola dell’infanzia, Scuola primaria e Scuola media), l’Istituto Figlie della Provvidenza in via Bollitora Interna a Santa Croce (Scuola dell’infanzia e Scuola primaria), Mamma Nina di via Mar Mediterraneo a Fossoli (Sezione Primavera, Scuola dell’infanzia), l’Istituto Matilde Cappello di via Traversa San Giorgio a Santa Croce (Sezione Primavera, Scuola dell’infanzia), la Scuola dell’Infanzia Aida e Umberto Bassi di via Budrione – Migliarina a Budrione e la Scuola dell’Infanzia Caduti in guerra di via Chiesa e Gargallo, mentre nell’ambito dell’istruzione superiore, vi è il Centro di Formazione Professionale Nazareno.
Tali strutture educative svolgono un servizio pubblico con costi molto vantaggiosi per la collettività. A dirlo sono i numeri: per ogni alunno del sistema paritario lo Stato risparmia tra i 5 e i 6mila euro. A fronte di una spesa pubblica per allievo inserito in una scuola statale di 6.635 euro infatti, lo Stato dà alle paritarie 661 euro ad allievo. Per far fronte a questo scarto, vi è la retta richiesta alle famiglie che però non riesce a coprire tutti i costi. “Raramente le scuole, che devono garantire standard di qualità elevatissimi, riescono ad arrivare al pareggio di bilancio con le sole rette. Inoltre, negli ultimi dieci anni – spiega il vicario della Diocesi, don Massimo Dotti – il numero delle suore che vi operavano è via via diminuito e si è quindi proceduto con l’assunzione di personale laico, operazione che ha notevolmente appesantito i costi di gestione”.
Scuole che, faticando a pagare il personale e a sostenere le spese ordinarie e straordinarie di gestione, ogni anno, vengono sorrette grazie alle donazioni e alle iniziative che le parrocchie e le famiglie promuovono. “Le parrocchie si inventano di tutto pur di difendere questo prezioso patrimonio, organizzando lotterie, sottoscrizioni, collette, vendite di torte… a Carpi le rette non consentono di introitare e non creano avanzi di bilancio”, conclude don Massimo, quindi, come annunciato da Monti, se le rette sono “esclusivamente destinate alla gestione dell’attività didattica”, allora non si dovrebbero profilare nuove tasse da pagare per le paritarie cattoliche cittadine.